Dal Cav a Belpietro, quella scia di agguati

Un pugno in viso e uno in pieno petto: Daniele Capezzone suo malgrado si aggiunge al lungo e preoccupante elenco di personaggi colpiti dalla fabbrica dell’odio che ammorba il nostro Paese. A sinistra già protestano: «Solidarizziamo ma non parlateci di network di odio», ha distinto Dario Franceschini. Eppure l’escalation della tensione a obiettivo unico è sotto gli occhi di tutti. Dalla statuetta del Duomo lanciata in faccia a Silvio Berlusconi al pugno a Capezzone passando per il fumogeno per zittire il comizio di Raffaele Bonanni fino al tentativo di aggressione a Maurizio Belpietro.
Clima da Anni ’70, si dice. Quel clima in cui la violenza cominciava a manifestarsi, si organizzava per diventare feroce. Si illudevano quanti ritenevano isolato il gesto squilibrato di Massimo Tartaglia, che ha spaccato due denti al presidente del Consiglio.
Tartaglia ha fatto scuola, potendo anche godere dell’impunità: il tribunale di Milano l’ha infatti assolto perché «incapace di intendere e volere» a causa di una condizione di disagio psicologico che, secondo i giudici, «sarebbe stata acutizzata dal contenuto dei discorsi ascoltati». Senza contare che il comizio «ha determinato una situazione di conflittualità che ha avuto effetti scatenanti di impulsi etero aggressivi». Insomma Berlusconi se l’è cercata.
Due mesi fa l’obiettivo della violenza fisica armata dall’ideologia è stato il segretario della Cisl, colpito da un fumogeno alla festa nazionale del Pd a Torino. Il candelotto è stato lanciato da una ragazza mescolata ai contestatori del centro sociale Askatasuna, una ventiquattrenne figlia di un magistrato in servizio a Prato. Lei non è stata arrestata come Tartaglia, soltanto denunciata dalle forze dell’ordine e per nulla pentita del gesto di intolleranza: «Bisogna togliere la parola a chi mette in pericolo i diritti di milioni di lavoratori».
Nelle ultime settimane sono piovute lettere minatorie a destra e manca. Ne hanno ricevute Luciano Violante, Pierluigi Bersani, Italo Bocchino. Minacce di morte (pallottole chiuse in una busta) sono state recapitate al ministro dell’Interno Roberto Maroni e al vicepresidente del Senato Rosy Mauro, entrambi leghisti. Ai primi di ottobre un’intimidazione per posta ha raggiunto anche Maurizio Belpietro, direttore di Libero.
Il quale però, pochi giorni prima, era stato bersagliato da un misterioso aggressore sulle scale della propria abitazione nel cuore di Milano: un uomo che lo attendeva sul pianerottolo del piano di sotto è stato messo in fuga dal capo-scorta del giornalista con tre colpi di pistola esplosi in aria.
Giornali e politici di sinistra hanno sostenuto che l’attentato a Belpietro fosse inventato. Sempre così: se non sono messinscene, questi episodi vengono ridotti a bravate. Una bravata il treppiede lanciato da un operaio del Mantovano contro Berlusconi in piazza Navona a Roma nel 2004. Un atto autoprovocato il souvenir di Tartaglia. Diritto di cronaca e di critica, invece, se Di Pietro urla che il premier è un «pregiudicato illusionista stupratore della democrazia» o Marco Travaglio sostiene in tv che egli è «il più grande violento nella storia dei presidenti del Consiglio italiani del Dopoguerra».
Ancora più inquietante è il consenso che tali episodi ottengono da migliaia di persone. Su Facebook sono stati creati gruppi «Io odio Belpietro». Gruppi analoghi erano sorti dopo il ferimento del premier, ciascuno con centinaia e centinaia di iscritti; altri ancora avevano nel mirino vari ministri. Il record spetta a «Uccidiamo Berlusconi», con 12.333 adepti. Sono innumerevoli i «killer virtuali» della rete. Tutti introvabili, invisibili, ma probabilmente ansiosi di competere nel concorso indetto da una casa editrice abruzzese: «Descrivi la morte di Berlusconi».
Vigliacchi senza volto. Soltanto uno è stato stanato: aveva avuto il torto di prendersela con un magistrato.

Aveva scritto sulla sua bacheca di Facebook che il giudice Mesiano, quello che ha condannato Fininvest a versare un maxirisarcimento a Carlo De Benedetti, doveva essere gambizzato: «Invece di seguirlo con una telecamera dovevano impallinarlo alle ginocchia». In poche ore il pirata del web è stato identificato, poi indagato e rinviato a giudizio. Aveva toccato un intoccabile di quelli veri.

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