Il Cavaliere sbotta e fa bene a farlo Anche in diretta

Caro Granzotto, nel mio intimo credo che Silvio Berlusconi abbia ragione a non mollare accettando il braccio di ferro con la procura milanese. Ma il tarlo della ragione mi induce però a pensare che forse gli converrebbe davvero deporre le armi. Ciò non significa rinunciare a difendersi e prodigarsi perché la verità trionfi, ma farlo con quel minimo di diplomazia e forse anche di ipocrisia che la politica, l’arte del compromesso, reclama. Condivide il mio imbarazzo?
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Posso capire il suo stato d’animo, caro Bocca, ma non lo condivido. Vede, il Berlusconi di questi giorni, arrembante, incurante del bon ton e dello stucchevole minuetto della politica, franco fino all’impertinenza («Sto assistendo a uno spettacolo disgustoso, con una conduzione», quella di Gad Lerner, «spregevole e ripugnante». L’Infedele di La7 «postribolo televisivo»... che goduria) è il Berlusconi che più mi piace e che son certo piace all’Italia non «sinceramente democratica», la migliore. Grazie all’iniziativa della dottoressa Ilda Bocassini, il Cavaliere sente che è arrivato il momento della resa dei conti con la magistratura che lo ossessiona, che lo perseguita da vent’anni. E gli dà dentro. E fa bene a dargli dentro. E più gli dà dentro più mi piace. Ci siamo, caro Bocca: stavolta la procura meneghina l’ha fatta davvero fuori dal vaso e gli italiani, anche quelli che leggono La Repubblica, l’hanno avvertito. L’ha avvertita anche la Chiesa - sulla quale i laici mangiapreti repubblicones contavano per poter porre alle loro intemerate antiberlusconiane il sigillo del «Gott mit uns», tanto caro, d’altronde, ai fanti della divisione Göring - che ha preso le distanze dal polverone mediatico-giudiziario. Puntando il dito sui «tranelli», proprio così, tranelli, tesi da un potere dello Stato a danno di un altro e ciò «in una logica conflittuale che dura da troppi anni». Il cardinal Bagnasco non poteva non biasimare gli «stili di vita» incompatibili col pubblico decoro e lo ha fatto. Eppur chiedendosi se fossero, quegli stili di vita, «veri o presunti tali». Ciò che lo ha condotto a porsi la stessa domanda che si pongono gli italiani: a quale scopo «l’ingente mole di strumenti di indagini» relativi al caso Ruby?
Altro segnale di riposizionamento di fronte, l’appello - «Cari compagni, per il nostro bene, fermatevi!» - lanciato da Fabrizio Rondolino, Carlo Velardi e Piero Sansonetti, sinistra Doc. Con esplicito riferimento al caso Ruby vi si legge: «Rischiamo di trasformare il popolo della sinistra, dei democratici, in tricoteuses compiaciute e senza idee, che se ne stanno lì davanti alla ghigliottina e assistono al Terrore rivoluzionario mediatico e alle controffensive della Vandea. Oppure in castigatori moralisti dei comportamenti privati e sessuali di chicchessia, fino a invocare l’ingerenza della Chiesa sulla politica, e a scagliarci contro le donne poco castigate, contro i libertini, contro gli eccessi sessuali, o contro il peccato».

Insomma, caro Bocca, la struttura barocca e risibile dell’accusa, la potenza di fuoco - 100 mila intercettazioni, un mese di appostamenti per schedare chi entrava o usciva da Arcore, i sopralluoghi e le perquisizioni di decine e decine di corpi e abitazioni delle escort - le disamine etico-giuridiche sulla «palpazione concupiscente» (copyright, questo, di Giuseppe D’Avanzo), gli sfratti moralistici dal residence Olgettina, tutta questa sguaiata gran cagnara, insomma, ha provocato quel che il Berlusca s’aspettava: un effetto boomerang. E proprio adesso che l’attrezzo vola, per abbattervisi, verso la testa dell’antiberlusconismo togato lei vorrebbe, caro Bocca, che il Berlusca facesse la riverenza?
Paolo Granzotto

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