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I carabinieri si divertivano a spaccare l'auto di servizio: graziati dalla Cassazione

Le intercettazioni non si potevano utilizzare: con questa motivazione è stata annullata la condanna di due militari dell'Arma di Trieste

I carabinieri si divertivano a spaccare l'auto di servizio: graziati dalla Cassazione

Ci sono storie che vengono a galla solo alla finea, e che costringono a chiedersi in che paese viviamo. Un paese dove due carabinieri durante il turno di pattuglia, invece che occuparsi della sicurezza dei cittadini, se la spassano a guidare l'auto come un giocattolo, salire a cento all'ora e poi scalare in seconda per sentire il rumore che urla e il cambio che si schianta. Una storia di sette anni fa che solo ora arriva a conclusione, con la sentenza - e ci sono volute nientemeno che le Sezioni Unite della Cassazione - che manda assolti i due militari in servizio a Muggia, presso Trieste. Non perché si sia dimostrata la loro innocenza, ma perché la prova chiave a loro carico viene dichiarata inutilizzabile. Si tratta della registrazione della microspia piazzata a bordo della «Gazzella», che raccontava in modo inequivocabile il gioco demenziale dei due carabinieri, uno che istiga all'altro a alzare i giri e a scalare, e l'altro che esegue. In sottofondo il rombo impazzito del motore dell'Alfa Romeo pagata dai contribuenti.
Furono sfortunati, i due Cc. Su quella Gazzella c'era una microspia della Procura, piazzata nel corso di una altra indagine. Di cosa si trattasse, la sentenza non lo spiega, limitandosi a dire che riguardava «reati comuni commessi da militari dell'Arma ai danni di utenti della strada» e senza raccontarci come è andata a finire.
Era il 21 gennaio 2007. Quando, al ritorno dalla mattina di pattuglia, i due carabinieri restituirono la Gazzella in caserma (dicendo «si è rotta», «forse c'era poco olio oppure non hanno fatto la manutenzione come si deve»), non immaginavano che le loro allegre chiacchierate fossero state registrate parola per parola, e che fossero destinate a portarli sul banco degli imputati. «Distruzione o deterioramento di cose militari», questo il reato - previsto dal codice militare di pace - per cui i due carabinieri sono stati condannati in primo e in secondo grado. Ma hanno presentato ricorso in Cassazione, e hanno vinto.
Sulla piccola e assurda storia dei due carabinieri-vandali, si è aperto un contenzioso giuridico degno di miglior causa. Il tema è quello annoso delle intercettazioni. Come comportarsi se indagando su un reato se ne scopre invece un altro, magari un reato per cui - in base al codice - le intercettazioni non si potevano fare? In teoria, le intercettazioni sono inutilizzabili. Ma i giudici militari di primo e secondo grado se l'erano cavata dicendo che in questo caso i nastri con le chiacchiere dei due imputati non erano semplicemente una prova, ma erano essi stessi il corpo del reato, e quindi potevano entrare a pieno titolo nel processo.
Manco per niente, rispondono le Sezioni Unite nella sentenza depositata l'altro ieri: una intercettazione è un corpo di reato solo quando costituisce essa stessa l'elemento del reato, come nei casi dei processi per violazione della privacy o spionaggio.

Ma non è questo il caso dei carabinieri idi Muggia. Così il nastro sparisce dal processo, e gli imputati spariscono di scena. Ma il vero dubbio, più dei quesiti giuridici, è un altro: cosa gli è venuto in testa, quella mattina di dicembre, ai due carabineri?

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