Celibato dei preti: una scelta teologica e non economica

Ho letto sul Giornale del 14 ottobre una lettera dal titolo «Le tristi conseguenze del celibato dei preti», nella quale un lettore si chiedeva perché la Chiesa, allora solo cristiana, avesse promulgato una legge conciliare contro natura, che anche oggi vuole testardamente mantenere (vedi il recente messaggio del Papa al convegno «Humanae vitae»), per imporre il celibato dei preti. Premesso che i preti non fanno voto di castità ma solo di celibato e che fino al 1139 si erano sempre sposati dal Papa in giù, il motivo di questa imposizione è esclusivamente venale. Infatti all’epoca, ma anche oggi, i parroci ricevevano molte eredità dai fedeli che morivano e che venivano convinti di garantirsi con ciò il paradiso malgrado i loro grandi peccati, fra cui quello originale, inventato dal peccatore S. Agostino. Ma se i parroci si sposavano e avevano figli, tutte queste eredità, case e terre andavano ai loro eredi, secondo la lex romana allora in vigore. Quindi grandi capitali sfuggivano alla Chiesa, che non poteva permetterlo, né allora né oggi. Altra cosa è la castità, di cui alla Chiesa non importa proprio niente, e che viene osservata molto poco, anche perché la punizione per questo peccato non è particolarmente severa. Si parla di tre o quattro pater, ave e gloria al massimo.

Importante è solo che non ci siano eredi al di fuori della Chiesa, perché ciò creerebbe un danno gravissimo. Tutte le altre conseguenze, anche le peggiori, sono in qualche modo sanabili.
Livio Sommadossi - Rovereto (Tn)

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