La cena al buio gustata con gli occhi del palato

Un’esperienza di quattro ore per provare cosa vuol dire essere non vedenti

Al buio per quasi quattro ore. Sembra la cronaca di un black out estivo invece è «La cena al buio», un esperimento organizzato dall’Istituto dei ciechi. Lentamente le luci si abbassano e tutto si capovolge. Le guide sono i non vedenti e i ciechi sono tutti quelli che non hanno confidenza col buio. Si passa attraverso varie simulazioni sensoriali. In una stanza è ricreato l’ambiente di un bosco, con gli odori i rumori e le sensazioni tattili tipiche di una passeggiata nel verde. In un’altra viene simulata una situazione urbana. Ed è subito ansia. Il rombo di un’auto che sfreccia a pochi metri, la sirena di un ambulanza, pali della luce, gradini e moto.
Poi si arriva nella zona ristorante. Con le mani si cercano i piatti e i bicchieri, versare il vino sembra un’impresa insostenibile. Ma è questione di un attimo. I sensi si aprono e si inizia a «vedere» con ogni parte del corpo. I rumori si sentono nettamente, i sapori sembrano più potenti e con il tatto si iniziano a distinguere cose giudicate prima insignificanti. Le guide dell’Istituto si muovono con disinvoltura fra i tavoli e le stoviglie. Enrico, non vedente, suona il pianoforte in fondo alla sala, Giuseppe porta i piatti, intrattiene gli ospiti e prepara il caffè, e per un attimo il non vedente sei tu, inchiodato alla seggiola a cercare di capire dove hai messo il tovagliolo o la forchetta.

Poi si accendono le luci e, per qualcuno, attorno ricompare il mondo che vediamo tutti i giorni. Sento il rumore di un bastone, è Giovanni, una delle guide che aiuta i turisti del buio, che sta tornando a casa. Tutto è tornato come prima, ma l’esperienza rimane, a lungo.

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