La formazione del governo Prodi aiuta a comprendere com'è organizzato «il potere» nella nuova maggioranzinina del centrosinistra: c'è la presenza militare dei partitini (sei, ognuno con un ministro: quattro dicasteri di un certo peso, uno di serie «C» a Rifondazione che ha Fausto Bertinotti presidente della Camera - l'elegante segretario di Prc ha subito mostrato come farà il presidente super partes attaccando il Papa -, e un indipendente per i comunisti italiani). Due ministri, Giuliano Amato (scaricato definitivamente dai Ds) e Tommaso Padoa Schioppa serviranno a Romano Prodi per interloquire con il cosiddetto piccolo establishment. Un paio di prodiani doc (Paolo De Castro e Giulio Santagata) più il potente sottosegretario alla Presidenza Enrico Letta. I rutelliani puri saranno tre (oltre a Rutelli, Paolo Gentiloni e Linda Lanzillotta). Un mariniano (Giuseppe Fioroni). E infine l'incredibile punizione di Rosy Bindi, messa al ministero della Famiglia.
La distribuzione dei dicasteri tra i Ds racconta molto di quel partito. Innanzi tutto della sua struttura sempre più federalista: Cesare Damiano al Lavoro rappresenta la Torino fassinian-chiampariniana che vuole dialogare con la Fiat, Giovanna Melandri è ambasciatrice di Walter Veltroni, l'inventato Luigi Nicolais è uomo di Antonio Bassolino nella clientelarmente importante Funzione pubblica. Fabio Mussi rappresenta il correntone. Singolare è la retrocessione di Vannino Chiti, già numero due o tre dei Ds e ora ministro ai Rapporti con il Parlamento e alle Riforme (che contavano molto nel centrodestra, ma in una compagine conservatrice istituzionalmente sono quasi una sine cura). A dare un tocco «nazionale» alla presenza Ds, sono solo i dalemiani: il neo ministro agli Esteri e Livia Turco alla Salute. Gli altri dalemiani (Barbara Pollastrini, preferita per la sua militanza di corrente alla ben più colta Vittoria Franco, porta al governo i dalemiani di sinistra milanesi, quelli che contrapposti ai «dalemiani riformisti» di quella città stanno rovinando le minime chance di Bruno Ferrante di fare il sindaco, e Pierluigi Bersani, unico ministro ds della potente Emilia) hanno anche un peso locale.
Se oltre alla formazione del governo si considerano gli altri movimenti nella Quercia, si arriva alla conclusione che il potere dalemiano è di nuovo l'asse su cui si organizza questo partito. Piero Fassino è stato umiliato a restare al partito per la caterva di errori compiuti: adesso da ripetente dovrà far vedere se ha imparato la lezione. Il potere reale della Quercia sarà sempre più nella mani di Maurizio Migliavacca, coordinatore unico della segreteria, già fassiniano doc, ora innanzi tutto «emiliano». Marina Sereni, rimasta fassiniana e meteora alla potente commissione organizzazione del partito, farà la vice di Dario Franceschini nel gruppo dell'Ulivo alla Camera. Il decisivo Senato è tutto in mano ai dalemiani (Anna Finocchiaro, Gavino Angius e Nicola Latorre).
C'è stato un momento in cui il potere reale tra i Ds sembrava quasi alla portata di Fassino. Poi tutto è precipitato. Alla fine decisiva pare proprio essere stata la questione Unipol-Bnl. Dopo quella vicenda Franco Bassanini non è stato più rieletto, si sono rotti i rapporti con Amato. Personaggi come Lanfranco Turci sono stati emarginati e indotti ad andarsene.
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