Massimiliano Scafi
da Roma
Allora di cena si vota ancora a Parigi e Lione, ma già appare chiaro che il testa a testa non durerà a lungo, in questa notte francese che decide il futuro dellEuropa e segna unaltra spaccatura nella sinistra italiana. Alle dieci di sera champagne nei quartieri generali del non, dopo gli exit-poll televisivi. Festa grande anche in Via del Policlinico, sede di Rifondazione comunista. «Un fatto politico straordinario si è prodotto in Europa - annuncia radioso Fausto Bertinotti - . Un europeismo di sinistra e di massa ha preso corpo e ha vinto, mentre è stata sconfitta lUe neoliberista di Maastricht e del Trattato. La passione per lEuropa può essere viva e trascinante quando può vivere nella democrazia». Alla stessa ora, a solo un paio di chilometri di distanza, facce più lunghe in Via Nazionale. «È un brutto stop che obbliga a una seria riflessione - commenta Piero Fassino -. Sarebbe sbagliato pensare che si può fare a meno dell'Unione Europea, ma sarebbe altrettanto superficiale pensare che il voto francese sia solo un incidente di percorso. Fin dai prossimi giorni è necessario l'impegno di tutti i governi e di tutte le famiglie politiche del continente per rilanciare l'Ue su basi più solide e più capaci di raccogliere l'adesione e il consenso dell'opinione pubblica».
Divisa come in Francia, la sinistra italiana cerca il punto di mediazione. Ci prova Romano Prodi, che accoglie il trionfo dei no «con un enorme dispiacere». «Adesso - avverte lex presidente della Commissione Ue - bisogna ripensare lidea dellEuropa ma senza abbandonarla né metterla in frigorifero. Bisogna riflettere e ascoltare questi segnali di disagio, ma, pure tenendone conto, occorre proseguire con tenacia nel progetto di integrazione». Ci prova pure Alfonso Pecoraro Scanio, che chiede «di sentire il campanello dallarme e di lavorare per unEuropa più vicina ai cittadini e ai loro diritti». Ma poi tocca a Umberto Ranieri mettere il dito nella piaga: «Il voto è anche il frutto paradossale di quei socialisti francesi che hanno sostenuto il no ritenendo così di difendere l'Europa sociale e che hanno alimentato paure e ristrettezza nazionalistiche non esitando a schierarsi con l'estrema destra lepenista. Ora è necessario che la sinistra democratica italiana, il cui europeismo appare ben più saldo e radicato di quanto non sia in quella francese, si attrezzi comunque a una discussione politica di fondo sulle prospettive del processo comunitario».
Sì, ma per quale Europa? L«altra», quella «popolare e del referendum» per la quale Bertinotti festeggia, quella per cui Cesare Salvi è volato a Parigi per sostenere i socialisti del non? O quella «da ridiscutere», come dice Fassino? Il segretario della Quercia si è tenuto cauto fino allultimo, ma già dal pomeriggio aveva dovuto affrontare lo scenario più sgradito: «Naturalmente, qualora dovessero prevalere i no, si dovrà aprire una discussione su come riprendere il filo di un confronto che non interrompa il cammino condotto fin qui e che non freni il processo di integrazione, perché in ogni caso cè bisogno di unEuropa unita. Nel mondo della globalizzazione, nessun Paese, nemmeno europeo, può infatti pensare il suo futuro da solo».
Adesso per Enrico Letta, Margherita, «viene messa in discussione tutta una strategia». Che fare? «Ora - risponde - da parte di Bruxelles e dei Paesi membri si impone una reazione che sia all'altezza di questa sfida. L'esito del referendum è di tale portata da travalicare le ovvie conseguenze sullo scenario francese. Bisogna tenerne conto e fare autocritica su una costruzione europea che si è ormai allontanata dal sentire quotidiano dei cittadini». Anche per Gavino Angius «il risultato del referendum francese è molto negativo e induce ad una riflessione molto seria in quanto è un voto che rischia di incrinare la costruzione dell'Unione europea così come era prefissata dalla carta costituzionale». Quindi, «se ne dovrà tenere conto, ma non deve indurre a fermare il processo di costruzione dell'Europa politica».
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