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La Cgil ci ripensa: riassunta la dipendente malata di tumore

Sbagliare è umano, perseverare sarebbe stato un diabolico autogol. E allora, contrordine compagni. La dipendente Cgil Anna Dalò, licenziata perché «assente ingiustificata» mentre era a casa, a 20 metri dall’Inca Cgil di Andria, a curarsi dal cancro, va subito riassunta. L’annuncio in pompa magna è arrivato ieri direttamente dal palco del XVI congresso Cgil di Rimini, per bocca del segretario generale della Puglia, Gianni Forte: «Stamattina (ieri, ndr) partirà un telegramma attraverso il quale viene ritirato il licenziamento dell’operatrice che viene, quindi, riassunta. È stato inoltre convocato il Comitato direttivo della Camera del Lavoro del comprensorio Bat con all’ordine del giorno - ha poi aggiunto - le dimissioni del segretario generale Liano Nicolella», il suo «carnefice» che si è fatto da parte.
Chissà se a portare consiglio alla Cgil è stata la notte o la lettura del Giornale (vedi affianco). Sta di fatto che a riaccogliere tra le braccia della Cgil è stato lo stesso dirigente che ieri, alla notizia della causa per stalking, mobbing, diffamazione e richiesta di indennizzo annunciata dalla dipendente dell’Inca di Andria, Anna Dalò, aveva parlato di «decisione sorprendente» e aveva proposto una «ricomposizione bonaria» dicendo: «La signora valuti bene la sua decisione». Insomma, un pasticcio che puzza di centralismo democratico. Iniziato male e finito peggio.
È il novembre 2009. È la Dalò, moglie dell’ex sindaco Pd di Andria Vincenzo Caldarone, a raccontare quei giorni al Giornale: è fiaccata da debolezza, tachicardia («anche 120 battiti al minuto», dice) e altri sintomi. L’endocrinologo le diagnostica una «intensa ed antica patologia tiroidea»: la ghiandola è invasa da noduli sospetti. Comincia il calvario farmacologico e l’andirivieni dagli ospedali, fino all’intervento del 5 marzo scorso. Tutto documentato. La Cgil, insomma, non poteva non sapere. L’asportazione della ghiandola rivela la ferale notizia: è cancro. Il calvario non è finito, anzi. A quello medico si aggiunge quello sul posto di lavoro, a 100 passi da casa. «Colpa» di un certificato medico, che per la Cgil non è mai arrivato. La burocrazia, si sa, qualche volta può uccidere.
Quando la donna torna al suo posto di lavoro, lo stesso da 24 anni a questa parte a mille euro al mese, tutti la trattano come un’appestata. Ad avvelenare il pozzo la decisione, già nell’aria, di licenziarla. È lo stesso Nicolella che glielo comunica nei corridoi. «Sei fuori». È il paradosso. «Il 19 aprile - dice la donna al Giornale - ero tornata al lavoro nonostante il cancro. E il “padrone” che mi contestava l’assenza ingiustificata, non voleva riammettermi al lavoro in quanto ero in malattia». Nessuno dei colleghi, per giorni e giorni ha avuto pietà, asserisce la Dalò: «Basterebbe questo per espellerli dal mondo del lavoro, quello vero». La lettera di licenziamento, datata 23 aprile, è pesante: «Assenza prolungata e ingiustificata» e «indennità corrisposta seppure non spettante» vista la «grave inadempienza contrattuale».
La donna accetterà? «Stiamo consultando i nostri legali, ma siamo intenzionati ad andare comunque avanti sul fronte giudiziario», dice il marito. E lei: «Spero che una cosa del genere non succeda mai più. Mai più». L’eventuale processo potrebbe infatti costringere la Cgil a un maxi risarcimento. L’assenza ingiustificata non può infatti essere considerata causa di licenziamento, stando all’articolo 21 del regolamento Cgil previsto solo per furto, trafugamento di documenti o reati compiuti nell’attività sindacale.

Eppure per il segretario della Cgil Bat Gianni Forte, l’uomo della retromarcia, la denuncia della Dalò era «sorprendente». Come un cancro che non avresti immaginato di dover raccontare per difendere il posto di lavoro.
felice.manti@ilgiornale.it

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