«Che bello, che forza» E La Scala serve per promuovere l’Expo

L’opera di Wagner ha inaugurato la stagione lirica ieri sera al Piermarini di Milano

Potrei dire del carabiniere in alta uniforme, con pennacchio, a cavallo ma con telefono cellulare all’orecchio. Continuando con il capopopolo sindacalista che con voce tenorile, in linea con la giornata, per un’ora ha urlato di tutto con il megafono, «pezzi di, schifosi, capitalisti, padroni», il capannificio dei favolosi anni Settanta, comiziando dal presidio davanti al Municipio.
È la prima della Scala, bellezza, con i soliti noti, personaggi e interpreti di sempre, repertorio previsto, un gruppo di milanesi dietro le transenne a vedere il presepe vivente, niente bue e asinello ma grandiosa sfilata di auto blu scuro e di facce della stessa tinta, tra stole, tabarri, kimoni, smeraldi, abiti firmati di ogni tipo e tariffa, guardie del corpo, poliziotti, finanzieri, due bambinetti vestiti come Harry Potter, con il faccino triste, cinque ore di Wagner e nemmeno un minuto di Ratatouille, non si fa così ma questa è la dura vita in una sera meneghina di dicembre, fredda il giusto, di colore cupo come la scenografia che ha trovato pareri contrastanti, opposti, come nei voti di certe pagelle. Del resto che altro è la prima volta della Scala se non un esame di stile e portamenti?
Ai voti, dunque. Ha offerto parole di entusiasmo travolgente Formigoni (6--), di ironico disprezzo Sgarbi (8+). «Un’officina dismessa di Sesto San Giovanni. Che cosa c’entra con la storia di Tristano e Isotta? Se dovessimo fare i Promessi Sposi (6) li metteremmo in un bordello (9)? E che ci fa un re con cappotto bianco comprato al mercatino dell’usato? Quasi, quasi era meglio Zeffirelli (s.v.). Per fortuna c’è la musica».
Anche Borrelli (6), questo è lo scoop del nuovo millennio, concorda: «Che cosa c’entrano le mura aureliane, quel traghetto. Anche il rotolarsi finale di Tristano e Isolde non è negli schemi dell’opera di Wagner». Borrelli dimentica che un francese, come francese è Patrice Chéreau, un po’ di pruderia francese ce le deve pur mettere essendo metteur en scene. Borrelli non ce la fa a pronunciare il sostantivo «comunista» che Sgarbi invece rabbiosamente distribuisce mentre la soave Sabrina Colle (10), che luccica al suo fianco, tenta di riportarlo in sala.
La musica, si dovrebbe parlare soprattutto di questo ma il tam tam prima, durante e dopo, viene riservato a Expo 2015, non proprio domani mattina. Ne parlano in molti, il volantinaggio è trasversale, da destra a sinistra, «Milano è pronta», «Gli stranieri ci guardano, ci ammirano», sembra che il lipsiano Wagner e i suoi tormenti siano soltanto un pretesto e così le voci della sua splendida connazionale Meier e del maestoso inglese Storey, insomma Tristan und Isolde, che spinse alcuni spettatori del tempo a suicidi per disperazione d’amore, qui al Piermarini (9 per tutto, 2 per la sala stampa) diventa una didascalia per la telepromozione del duemila e quindici. Per fortuna c’è chi non partecipa al corteo, Fedele Confalonieri (9) raffredda la folla cortigiana e nereggiante: «La Scala c’era prima dell’Expo e ci sarà anche dopo l’Expo. Eppoi non è la prima volta che si rappresenta Wagner». Rispunta Formigoni (6--): «Avrei invitato il Dalai Lama (9)», risponde Sangalli (8): «Perché non Visco? (s.v.)». Già presente la Finanza (10).
C’è una varietà di donne davvero strepitosa, la consorte (10+) dell’emiro del Qatar stronca la concorrenza, il sindaco Moratti (6+) ha un volto di cera e porta al collo brillanti da apnea, da finale di miss mondo ex aequo la bulgara Ralitza Baleva (110) e la nostra Donpè (con lode), a margine alcuni vestiti da merenda o ritrovati nel baule in soffitta; sono in molte e molti a fare la fila, alzandosi sulla punta dei piedi, per farsi fotografare e intervistare, i melomani veri stanno in disparte, scommettono che almeno due terzi degli astanti non hanno a casa nemmeno un disco o cd di opera lirica ma l’importante è presentarsi in tenuta da Scala alla Prima, ripetendo il motivetto che piace tanto: «affascinante, intenso, sono emozionato/a».
L’ambasciatore Di Capua e la sua signora Marinella (8 alla coppia) preferiscono argomenti più umani, confessano di avere sofferto il torcicollo, colpa non dell’aria condizionata ma dalla postura alla quale sono stati costretti: «Troppa gente, spettatori in numero superiore alla capienza, dal nostro palco non riuscivamo a vedere la scena se non ruotando la testa. Ci rifaremo con gli abbonamenti». Ambasciator porta pena, dunque. Il primo tempo raccoglie applausi fragorosi ma un gruppo di inquieti se ne era uscito dopo mezzoretta di dramma, filandosela in toilette o riaccendendo il telefono cellulare. Il foyer e le scale verso la platea sembrano la stazione della metropolitana al rientro dagli uffici, gente che sale, gente che scende, gli strascichi delle signore creano squilibri, il presidente Napolitano (8) incontra musici e cantanti, tenendosi distante dall’alveare di sotto. Dopo cinque ore l’impalcatura dei maquillage incomincia a cedere. Fuori, il capopopolo (s.v.) ha spento il megafono, i suoi compagni hanno smontato il presidio.

Pochi fedeli (1--) sostano dietro le transenne in attesa di vedere riapparire i personaggi del presepe, Tristan und Isolde, là dentro, giacciono morti ma il carabiniere (1) con pennacchio, a cavallo (9) continua a tenere il telefono cellulare all’orecchio. Oggi, per fortuna, è la festa della madonna (10). Però mancano otto anni all’Expo (s.v.).

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