Valerio Castronovo, storico illustre, autore di molti saggi di storia economica, è convinto che questo primo scorcio del secolo abbia forti radici negli ultimi decenni del secolo scorso. A questo tema ha dedicato vari studi e un libro: «Le ombre lunghe del Novecento» (Mondadori). Gli chiediamo: ma dieci anni soltanto sono già una dimensione della storia?
«Sì, nonostante sia un tempo apparentemente breve. Perché laccelerazione degli eventi e lampliamento delle dimensioni spaziali hanno cambiato anche la percezione del tempo».
Che cosa vuol dire che dieci anni «fanno storia»?
«Vuol dire che è già possibile capire che cosè avvenuto e fissare risultati acquisiti. É il preludio per intendere le linee di tendenza del futuro».
Negli ultimi dieci anni sono accadute molte cose...
«Sì, ma tutto è cominciato con le eredità del Novecento, in particolare con la caduta del muro di Berlino. Abbiamo assistito al crollo dellideologia marxista e delle suggestioni comuniste. Parallelamente emergevano i primi segnali del fondamentalismo islamico, da cui si è sviluppato il terrorismo: nel 2001 il secolo si è aperto con lattentato alle torri gemelle, e nellIran degli Ayatollah si è consacrata la dottrina del martirio suicida, una nuova ideologia. Pensi al paradosso...».
Quale?
«Si credeva che con la fine del comunismo fossero finite le ideologie, invece no: sono spuntate nuove ideologie che non hanno a che fare con la storia e la cultura europea, e che appartengono a un universo ideologico-religioso a noi ignoto».
Sono quelle le «ombre lunghe del Novecento».
«Non sono le sole. É finita anche quella sorta di intreccio tra capitalismo e riformismo, leconomia sociale di mercato. La spesa sociale è sempre più onerosa. Anche per un fattore demografico: linvecchiamento della popolazione influisce sullo stato di benessere. La popolazione è più esigente in termini di qualità della vita, ma ciò è insostenibile».
Qual è, a suo giudizio, il portato più evidente di questi ultimi dieci anni?
«Il senso dinsicurezza generale provocato dal fondamentalismo islamico».
In senso economico, intendevo.
«Il fondamentalismo ha creato grossi problemi anche alleconomia. Comunque alla fine del Novecento si pensava che legemonia degli Stati Uniti fosse inarrestabile, che gli Usa fossero il leader indiscusso dopo la caduta dellUnione sovietica. Si è visto che non è così vero. La Cina è partita, in questi dieci anni, con un ritmo di sviluppo superiore a ogni previsione e superiore anche allInghilterra vittoriana, e ha battuto gli Stati Uniti dei tempi migliori. Con la Cina sono emersi anche India e Brasile, mentre il Giappone, che trentanni fa sembrava lavanguardia tecnologica, è svaporato».
Anche lei concorda, dunque, che il fenomeno dinizio secolo è la Cina.
«Sì, a molti livelli. Dal punto di vista geografico, per esempio, va notato il suo atteggiamento nei confronti dellAfrica, che guarda lontano: offre aiuti e attua investimenti, così si assicura per il futuro materie prime e risorse materiali e agricole. LAfrica da parte sua ha bisogno di spinte, e ha trovato la sua spalla nella Cina».
La Cina si sta rendendo disponibile anche nei confronti di alcuni Paesi europei in difficoltà.
«Sì, ma qui è un atteggiamento che tende a dividere e ciò non è reciprocamente opportuno, visti i 250 milioni di nuovi ricchi cinesi che sono un bel mercato per lEuropa».
Già la Cina, con i bond che possiede, tiene in scacco gli Stati Uniti. Quale sarà, nei prossimi dieci anni, il ruolo del capitalismo americano?
«Le potenzialità delleconomia Usa sono il grande interrogativo: anche perché tradizionalmente lEuropa è al suo traino. Da qui a 10 anni per Pil complessivo la Cina supererà gli Stati Uniti, non quello pro capite, naturalmente, e il benessere Usa resterà alto».
Che cosa deve (o non deve) fare il Vecchio mondo?
«É in corso la rivoluzione della banda larga e gli investimenti sono sempre più selettivi. La materia grigia è la nuova materia prima, e ricerca, innovazione e know how sono beni essenziali. LEuropa ha già perso terreno in un versante in cui era allavanguardia. Anche gli Stati Uniti stanno facendo fatica».
Nei Paesi emergenti lo hanno capito?
«Sì, India, Cina, anche Brasile. La Cina, attraverso acquisizioni mirate e joint-venture con stranieri sul proprio territorio, sta acquisendo una capacità che la renderà, tra 5-6 anni, in grado di fare qualunque cosa da sola».
Ma quale sarà nei prossimi anni il rapporto tra democrazia e sviluppo? É innegabile che in Cina molte cose dovranno cambiare.
«La democrazia comporta decisioni complesse, mediazioni. In Cina cè il capitalismo come alle origini, con scarse garanzie sul lavoro e nella società; ma la Cina è totalitaria nei processi decisionali, che sono imposti dallalto, e così il Paese marcia spedito. Il capital-comunismo della Cina è lastro nascente sul panorama dei modelli economici, lunico. Oggi punta sullexport perché puntare sui consumi interni creerebbe quel benessere che rimetterebbe in discussione tutto».
E che ne sarà dellItalia?
«É stata segnata dalle due crisi del 2001 e del 2008. É al palo da dieci anni e non risce a recuperare gli sconquassi».
E del made in Italy?
«Con la globalizzazione crescente e gli italiani che si trasferiscono, diventerà sempre più Made by italians...».
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