CHE FATICA DISTINGUERE MATTI E SANI

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Chi sono i matti? Secondo lo psichiatra Vittorino Andreoli, che li frequenta da una vita e si definisce «mezzo psichiatra e mezzo matto», sono semplicemente «persone che soffrono». Giovanni Anversa l’ha intervistato al termine della puntata di Racconti di vita - Sera (lunedì su Raitre, ore 23,30) in cui un filmato girato da Vincenzo Saccone dava conto dell’esperienza di una cooperativa milanese, composta da pazienti psichiatrici e non, che si dedica alla preparazione di pasti per mense e catering. Un classico esempio di recupero e integrazione, parole spesso abusate fino a svuotarle di significato, ma che in casi come questi riacquistano spessore e concretezza nella pratica quotidiana. Nel filmato si alternavano alcuni di questi cosiddetti «matti» che raccontavano un’esperienza di vita segnata da sofferenze mai metabolizzate: la perdita della mamma («quando è morta era terribile non poterla più chiamare “mamma”», diceva uno degli intervistati), famiglie litigiose, dissidi striscianti. Ma ancora più emergeva, dalle loro parole, quella che lo stesso Andreoli ha definito come una delle principali caratteristiche della follia rispetto alla normalità: mentre i «normali» si sentono adeguati nel mondo in cui vivono, i «matti» considerano il mondo in cui sono calati non corrispondente al loro bisogno di vita. Proprio l’intervista finale allo psichiatra ha permesso di inquadrare, non senza elementi di inquietudine, il confine spesso sottile e non facilmente definibile tra il mondo dei matti e quello di chi non lo è. Una sensazione che altrettanto spesso fa capolino anche nella coscienza di ogni persona considerata normale, e che nel frangente veniva accentuata, da un lato, dal felice esempio di cooperazione mostrata dal documentario (in cui si faceva davvero fatica a distinguere i matti dai sani, e lo si dice senza alcuna ironia), dall’altro era espressa con una frase ad effetto dello stesso Andreoli: «Al giorno d’oggi ogni persona normale è compatibile con un gesto di follia estrema». Non occorre nemmeno andare troppo indietro nel tempo per trovare conferme a questo assunto, in quanto la cronaca ci fa catapultare di continuo in tragedie che non hanno una spiegazione razionale e credibile e che avvengono, quasi sempre, in contesti di apparente normalità. Alla fine dell’intervista la si è persino definita «follia della normalità», ovvero la faccia nascosta di vite che sembrano scorrere in un ordinato tran tran.

Cosicché la puntata, che era partita mostrando un tranquillizzante esempio di socializzazione, una di quelle fortunate esperienze di integrazione in cui sembra che tutto funzioni per rassicurare lo spettatore, finiva seminando la giusta dose di dubbi e punti interrogativi.

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