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Chi fa pubblicità a Toscani

Chi fa pubblicità a Toscani

Non poteva desiderare, Oliviero Toscani, nonostante le proteste di maniera, miglior esito per il suo manifesto «No anorexia», e migliore promozione mediatica di quelli ottenuti grazie ai pronunciamenti dell’assessore Terzi e al divieto di affissione in spazi pubblici del sindaco Moratti. La materia non è stata affrontata in giunta, dove avrebbe prevalso la sobria indicazione dell’assessore Cadeo, che ha candidamente osservato non esservi alcun manifesto di Toscani in spazi del Comune. Ma il fanatismo trova sempre percorsi perversi per affermarsi e, invece di mollare la preda, infierisce con la grottesca decisione di Terzi e di tal Fabiola De Clercq, presidentessa di una associazione dalla sigla misteriosa «Aba», di presentare istanza al giurì della pubblicità per valutare se Toscani abbia esagerato violando il codice di autodisciplina.
Ovvio che Toscani esageri ma non al punto da poter sperare una così formidabile pubblicità alla sua non pubblicità. Cosa c’entra infatti Nolita, la modella Isabelle Caro, che ha prestato il suo corpo nudo mortificato dall’anoressia, con la pubblicità? Quale prodotto propaganda? Quel manifesto è, bensì, un monito, e non ha alcun senso sottoporlo al giudizio del fantomatico «Iap», altra sigla per indicare l’istituto di autodisciplina della pubblicità, presieduto da un rubizzo Giorgio Floridia e, senza mezzi termini, anticipa la sentenza accogliendo le rimostranze di Terzi e della De Clercq: «Esporre pubblicamente il corpo consunto di un ammalato è disgustoso».
Non gli ho parlato, ma sono certo che Toscani è felice. Ancora una volta ha ottenuto rumore intorno ad una sua campagna, e ha fatto uscire allo scoperto moralisti e bacchettoni che, non capendone lo spirito e le intenzioni, ne moltiplicano gli effetti. Troppo facile sarebbe considerare queste prove di viva intelligenza provocazioni. Toscani non provoca nessuno, ma coalizza le anime semplici che vanamente lo contrastano, senza capire che più lo contrastano e più lo esaltano, moltiplicandone l’effetto come questo sorprendente dibattito dimostra. Naturalmente l’eterno numero due, in questo caso Paolo Torchietti, il Presidente del network «Brand Portal», letteralmente, il secondo gruppo di grande comunicazione italiana, come lo definisce il Corriere, afferma inconsapevolmente: «La reazione principale suscitata dalla campagna di Oliviero Toscani è la noia». Contento lui!
Proviamo invece a capire come è andata la cosa. La Moratti è troppo intelligente per non capire le leggi elementari della comunicazione e che un buon pubblicitario implora la censura come massima affermazione del suo obiettivo. Sia rispetto alla diffusione della notizia o del prodotto, sia rispetto alla rivendicazione della libertà di espressione per qualunque artista o creativo. Lo ha capito bene un altro assessore, Tiziana Maiolo, che, a sua volta, ha scelto di combattere l’anoressia con una sfilata di modelle di grande formato, belle, formose, esagerate. Una buona idea, ma non si può dire che abbia ottenuto lo stesso risultato della campagna di Toscani. D’altra parte, per restare nell’empireo dell’Arte, sono molto più ammirate, perché problematiche, le opere di Alberto Giacometti di quelle di Fernando Botero. Il magro e più intenso sofferente drammatico del grasso. Non c’è partita. Solo a Milano e per le menti illuminate di Terzi, Floridia e Declercq, Giacometti rischierebbe di essere censurato. La Moratti avrà espresso un malumore probabilmente intercettando una protesta del mondo della moda. E subito ha trovato degli interpreti che hanno elaborato la dottrina del pericolo di emulazione, del rischio per i giovani, e persino dello scandalo della verità. Fino all’affermazione incredibile di Floridia: «Mostrare il dolore non è catartico» (la gente soffre). Formidabile teoria estetica e censura per una buona parte della Bibbia, dal libro di Giobbe all’Ecclesiaste, per la Tragedia greca (censura per tutto Eschilo), per l’Inferno di Dante, per il Giudizio Universale di Michelangelo, per le Opere Nere di Goya, e ovviamente per l’anoressico Giacometti, in senso letterale.
Ma cosa c’entra la pubblicità con il manifesto di Toscani? Forse perché ha la forma del manifesto? Ma cosa vende Toscani? Non vende, rappresenta una idea. Come un artista, come Francis Bacon, o Rauschenberg. Cosa gli deve dire lo «Iap»? O il giurì della pubblicità? Di non pensare? E se dovesse fare una campagna contro la fame nel mondo, non potrebbe mostrare, come tante volte si è visto, un bambino smagrito, pelle e ossa, con la pancia gonfia? No, perché, come ci spiega il dottor Floridia, la gente soffre. E allora perché mostrare centinaia di corpi ammassati nei campi di concentramento per farci capire l’orrore del nazismo? Per Floridia è meglio evitare. E magari favorire le teorie negazionistiche, e dire che la magrezza dei bambini affamati o degli ebrei è una dieta. Così «la gente non soffre».
Ma è proprio da quella sofferenza, da quel trauma, che deriva una riflessione, una rabbia. E quindi una reazione. Quello che cerca Toscani. Impedirglielo non aiuta nessuno. Non voler vedere, negare la verità, è il modello Teheran. E, in passato, fu la propaganda della bellezza ariana del nazismo. Fu così che ciò che non era classico, regolare, sano, ma magari deforme, dolente, critico divenne «Arte degenerata». Ogni censura evoca quello spettro. E cancellare Nolita dalle strade di Milano non è un bel segnale.

Toscani intanto ride e ringrazia.
Vittorio Sgarbi

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