A chi è fresco di laurea conviene puntare sullo sprint dei listini

Esaminiamo il caso di una laureata di 29 anni, al primo impiego, assunta come quadro di un’azienda industriale. Il reddito lordo iniziale è di 40mila euro ed è previsto uno sviluppo di carriera moderato, ovvero con aumenti retributivi di un paio di punti percentuali sopra il tasso di inflazione annuo. In questo scenario la ragazza neo-assunta qui presa ad esempio potrebbe andare in pensione nell’aprile 2040 con 31 anni di anzianità contributiva e con una pensione lorda di vecchiaia di 56mila euro, pari al 41,8% dell’ultima retribuzione. Tenendo conto che le restano da lavorare oltre 30 anni, potrebbe prendere in considerazione di costruirsi la pensione integrativa aderendo alla linea di un fondo previdenziale prevalentemente azionario (cioè che investe la quasi totalità del patrimonio in titoli di Borsa): una linea che espone al rischio di brusche variazioni nel breve termine ma che nel lungo e nel lunghissimo periodo è destinata a guadagnare più delle obbligazioni e dei titoli monetari. La linea azionaria dovrebbe essere mantenuta almeno per i primi 20 anni di lavoro, in modo da sfruttarne le maggiori potenzialità di rialzo, per poi passare negli ultimi 10 anni a soluzioni meno rischiose così da evitare di disperdere quanto accumulato in precedenza.
Quindi, se la neo-assunta qui esaminata iniziasse da subito a versare il 10% del proprio reddito iniziale (pari a 4mila euro annui) sul comparto azionario e, nella sua veste di «quadro», riuscisse a ottenere un altro 5% dal datore di lavoro potrebbe accumulare una rendita integrativa netta rivalutata nell’aprile 2040 di 26.300 euro. In questo modo totalizzerebbe una pensione complessiva (vecchiaia più integrativa) di 82.300 euro, pari al 61,5% della sua ultima retribuzione.

Qualora, invece, non fosse disposta a correre i rischi che comporta puntare sui listini azionari soprattutto nel breve periodo e preferisse affidarsi a una «linea di garanzia» (che investe in obbligazioni e in titoli di Stato e assicura la restituzione del capitale investito con un certo rendimento minimo), dovrebbe impegnarsi a versare ogni anno il 15,5% del proprio stipendio (ovvero 6.200 euro anziché 4mila) per puntare a ottenere la stessa rendita integrativa finale (26.300 euro netti rivalutati).

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