da Milano
«Chi mena prima, mena du vorte...». Paolo Di Canio va a «Lantipatico», la trasmissione di Maurizio Belpietro, e parla della sua filosofia di vita, del saluto romano fatto nel derby e ripetuto ieri a Livorno, e del suo nuovo libro «Il ritorno». In una lunga intervista condotta dal direttore de Il Giornale, in onda questa sera su Canale 5 alle 00.25, Di Canio ribadisce di «non essersi pentito per niente» del saluto romano nel derby.
«Perché ho detto: se fai il saluto romano sei un mostro, se alzi il pugno chiuso un eroe? Perché mi sembra che accada questo nella nostra società: se sei politicamente corretto e sappiamo per quale parte vuol dire essere corretti, si è presi ad esempio, anche se si commettono delle cose non proprio buone. Se si fa un saluto romano ma nel quotidiano ci si comporta da cittadini-modello, si è demoni e questo lo trovo veramente vergognoso». «Secondo me - aggiunge Di Canio nel lungo faccia a faccia con Belpietro - non esistono neanche più la destra e la sinistra. Io sono uno che ha i suoi valori, che si avvicinano molto a dei valori della cultura del passato».
Inevitabile la domanda dell«antipatico» sul tatuaggio che porta sul braccio. «La scritta Dux sul braccio?». La risposta del laziale non ha esitazioni. «Ho una stima e unammirazione per una persona: secondo me un grande condottiero che in un contesto storico è riuscito, se non altro, a dare un orgoglio nazionale. Quel tatuaggio lho fatto a Bologna vicino a un centro sociale, apposta. Per rompere i coglioni, sono anche un po rompicoglioni in questo».
Dopo aver ricordato quando a 10 anni era «affascinato dallarte oratoria di Almirante e Pannella», e aver indicato i suoi gusti nella lettura («leggo del Ventennio e la storia dellantica Roma, ma leggo a prescindere»), Di Canio ripercorre gli episodi che hanno raccontato la sua esperienza inglese: dalla spinta allarbitro alla rinuncia a un gol con lavversario a terra. «Quale dei due è il vero Di Canio?», gli chiede Belpietro. «Tutti e due», risponde il giocatore senza dubbi. «Sono buono quando fermo il gioco con il portiere avversario a terra e me ne vanto. Ma sono cattivo quando spingo larbitro con un gesto di stizza e non me ne pento perché nelluno e nellaltro caso sono sempre me stesso».
Nella sua autobiografia, la domanda conclusiva, ripete spesso «chi mena prima mena du vorte».
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