Marcello Zacché
In principio fu Telecom, la madre di tutte le scalate, a rendere Chicco Gnutti popolare al grande pubblico. Il sodalizio con Roberto Colaninno portò la nascita della «razza padana»: i primi capitali che, nel Dopoguerra, venivano utilizzati per una grande operazione finanziaria senza essere stati generati dalla pancia di Mediobanca e dalla mente di Enrico Cuccia. Che comunque, tanto per non sbagliare, a quella scalata venne chiamata a partecipare nel ruolo di consulente. I capitali erano quelli che Hopa, la finanziaria fondata da Gnutti, aveva messo a disposizione di Colaninno per scalare Telecom attraverso Olivetti. E in Hopa cerano 100 e più famiglie di Brescia e dintorni, che a Gnutti avevano affidato i loro capitali. Correvano gli ultimi anni del secolo scorso.
Hopa è arrivata a valere quasi 5 miliardi: correva lanno 2003 e nel suo azionariato erano nel frattempo entrati tutti quelli che contano: dalla Fininvest di Berlusconi, alla Unipol delle coop «rosse»; dalla Popolare Lodi di Fiorani, alla Banca di Roma di Geronzi. E non cera unoperazione in Italia (dal risanamento della Fiat, alla privatizzazione dellEnel) di cui Gnutti non esaminasse il dossier. Ieri, meno di tre anni dopo, Gnutti si è dimesso dallultima carica importante che aveva, proprio quella nella holding che controlla Telecom, inseguito dallipotesi di reato per «associazione a delinquere». La Hopa non versa in buone acque, con un pericoloso rapporto tra debiti accumulati e patrimonio netto. Molti amici lo hanno abbandonato e altri (come Fiorani e Consorte) sono precipitati con lui. La parabola ha iniziato a discendere, prendendo sempre più velocità.
Classe 1947, perito elettrotecnico, laureato in lettere e filosofia, Gnutti è sposato e ha due figli già grandi. La passione per le auto depoca lo ha «bollato» ormai da tempo, così come si è guadagnato fin da subito la fama di finanziere «spregiudicato». Un aggettivo ridondante per un finanziere: se non sei spregiudicato devi fare un altro lavoro. Ma per Gnutti quella spregiudicatezza così ostentata, in realtà nascondeva qualcosa di diverso e di irrefrenabile: il desiderio, una volta conosciuti i meccanismi della Borsa, di cavalcare i mercati a proprio piacimento, incurante non solo delle regole (anche questo è normale nella finanza), ma soprattutto della prudenza necessaria per evitare di finire nei pasticci. Sarà delirio di onnipotenza, avidità o ingenuità: sta di fatto che per una storia di trading poco chiara Gnutti è stato il primo grande nome della finanza a ricevere una condanna per il reato di «insider trading», già nel 2001.
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