Roma È considerato l’antidivo per eccellenza. Raramente un autore o una major gli ritagliano un ruolo da protagonista. Eppure c’è sempre. Soprattutto nei grandi film. Con ruoli mai secondari. Al limite gli piace stupire con interpretazioni inaspettate, sapendo che gran parte del suo successo lo deve a quell’aspetto pallido e straniato che lo ha reso appetibile per tutti i registri e per tutti i generi. Ed è così che passa dai ruoli di cattivo a quelli di psicopatico, da gangster a ballerino naif. Con infinita naturalezza. Parliamo di Christopher Walken. Sessantotto anni compiuti e ancora sulla cresta dell’onda. Tra i suoi prossimi impegni, l’ennesimo ruolo da gangster per Tony Scott (i lavori di Potsdamer Platz dovrebbero iniziare a inizio 2012 e vedrà l’attore americano al fianco di Javier Bardem e Mickey Rourke). Lo incontriamo a Roma, dove è protagonista della rassegna «Viaggio nel cinema americano», organizzata dalla Fondazione Cinema per Roma.
Passa da ruoli comici a ruoli drammatici con maggior leggerezza ed eclettismo di molti suoi colleghi. Qual è il suo segreto?
«Semplicemente mi piace lavorare e tanto. D’altronde non ho hobby, non ho figli e non mi piace viaggiare».
Lucas gli preferì Harrison Ford per «Guerre stellari» e Arthur Hiller Ryan O’Neill per «Love story». Crede che la sua carriera sarebbe stata diversa ottenendo quei ruoli?
«Mi va benissimo così. Il mio colpo di fortuna l’ho avuto con Cimino. Il cacciatore mi ha cambiato la carriera e mi ha fatto trovare un sacco di scritture. Sono fatalista da questo punto di vista. Certo non mi lamento. E ogni mattina ne ho la prova».
Sarebbe a dire?
«Ora vivo in campagna. E ho un’antenna satellitare che mi permette di avere oltre 50 canali dedicati al cinema. La prima cosa che faccio la mattina è un po’ di zapping finché trovo un mio film».
E poi si mette a guardarlo?
«Non ci penso proprio! Sono però contento di sapere che c’è. Significa che ho fatto un buon lavoro e che posso andare avanti tranquillo».
Ha lavorato con tanti dei più grandi registi americani. Qual è, secondo lei, la migliore virtù di un grande regista?
«Ogni regista fa storia a sé. Però una qualità comune a tutti c’è. Il grande regista è quello che sa fare casting. Mette sempre la persona giusta al posto giusto».
Prima di arrivare al cinema ha fatto il ballerino e il caratterista in tv. Quale sogno coltivava da bambino?
«Non mi sono mai posto il problema di cosa fare da grande. Vivo nello spettacolo da quando avevo dieci anni. Una volta a da bambino ho fatto anche la spalla a Jerry Lewis. L’ho incontrato pochi anni fa alla cerimonia degli Oscar e gli ho detto “Da bambino ho lavorato con lei in uno show televisivo” e lui con incredibile faccia tosta mi ha risposto: “Sì, mi ricordo benissimo!”»
I maligni dicono che cerca sempre di convincere gli sceneggiatori a inserire scene di ballo per i suoi personaggi.
«Non lo faccio più. Ma è vero. L’ho fatto per anni, fino a quando non sono incappato in recensioni benevole che però si concludevano sempre nello stesso modo: “Peccato per quelle scene di ballo assolutamente gratuite”».
Eppure prima di passare alla tv e poi al cinema ha calcato i palcoscenici di Broadway.
«Già. Mi guadagnavo da vivere ballando. E mi piaceva pure. Era la cosa più spericolata che mi permettesse il mio carattere».
Ci sta dicendo che lei è un tipo tranquillo?
«Assolutamente. Odio le armi. Non salgo mai su una moto; non mi getto dagli aerei e tanto meno vado a cavallo. Ne sa qualcosa Tim Burton».
Quando l’ha scritturato per «Il mistero di Sleepy Hollow»?
«Esatto. Gli ho detto che non sarei mai salito su un cavallo. E lui andò a ripescare nei magazzini degli Studios il cavallo meccanico usato dalla Taylor in National Velvet!»
Con chi vorrebbe lavorare oggi?
«Sicuramente con Scorsese e Bertolucci. E ovviamente con Tarantino».
Con cui ha già lavorato in «Pulp fiction».
«Si è trattato di un solo giorno di riprese.
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