«Ciak, si gira» Milano è il set dei grandi film

Andrea Indini

Di sicuro Milano non è Cinecittà. Ma le pellicole che hanno raccontato le vicende del capoluogo lombardo hanno segnato per sempre la storia della cinematografia italiana.
Indimenticabile l’arrivo in città dei fratelli Capone sotto il carico delle loro provviste, i cappotti pesanti e la lanterna per riuscire a farsi largo nella nebbia milanese. Era il 1956 quando Camillo Mastrocinque dirigeva Totò, Peppino... e la malafemmina. Ad aprire gli anni Cinquanta e quello che poi sarà definito da molti critici «il neorealismo industriale» del cinema di casa nostra, è la favola raccontata, nel 1951, da Vittori De Sica in Miracolo a Milano. I poveracci che volano via da piazza Duomo cavalcando le scope degli spazzini sono il segnale di un evidente giro di boa: nasce così un cinema più raccontato e di forte impronta favolistica. Il passaggio agli anni Sessanta è segnato dalle livide periferie nebbiose di Rocco e i suoi fratelli (Luchino Visconti, 1960) e da una piazza San Babila sventrata per i lavori della metropolitana ne Il posto (Ermanno Olmi, 1961). Sempre nel 1961, Michelangelo Antonioni racconta ne La notte la nascita di una nuova classe dirigente. Sullo stesso filone si inserisce La vita agra (1964), dove Carlo Lizzani racconta la storia di un proletario anarchico, intellettuale di provincia che decide di marciare su Milano progettando un attentato dinamitardo. Il protagonista, però, si lascerà risucchiare dalla società del benessere e finirà col diventare un creativo pubblicitario. Ed è proprio Carlo Lizzani a chiudere gli anni Sesssanta con Banditi a Milano (1968), pellicola che ritrae una città che, per quanto goda di un alto potenziale tecnologico e un diffuso benessere economico, è devastata dalla violenza. Tra vittime, prepotenti e forze dell’ordine il film di Lizzani si ispira alla rapina e ai delitti del 1967.
Ad aprire gli anni Settanta c’è un filone di film a cui fu associato il soprannome sprezzante di «poliziotteschi». Tra questi spicca Milano calibro 9 di Fernando di Leo (1972), pellicola sulla malavita che racconta le azioni di una banda di italo-americani che agisce a Milano. A raccontare questo periodo fortemente segnato dagli anni di piombo, si cimenterà nel 1995 Michele Placido. In Un eroe borghese si ricorda il tragico assassinio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli nominato nel 1974 commissario liquidatore di una delle banche di Michele Sindona. Gli anni Ottanta sono segnati da un cinema considerato da troppi «meno impegnato», ma simbolo della «Milanodabere». Da Eccezzziunale... veramente di Carlo Vanzina (1982) a Sposerò Simon Lebon di Carlo Cotti (1986), fino alle bellissime immagini di Stazione Centrale riprese da Gabriele Salvatores in Kamikazen (1987). Sulla stessa scia si inserisce Anni ’90 di Enrico Oldoini (1992), film che unì comici come Christian De Sica, Ezio Greggio, Massimo Boldi e Nino Frassica.
«Il cinema è un’invenzione parigina, certo, ma è giusto che si sappia che Milano è arrivata subito dopo», commentava Philippe Daverio alla presentazione del libro curato da Paolo Zenoni, Dizionario cinematografico di Milano. Negli ultimi cinquant’anni il capoluogo lombardo è diventato la città-set del cinema italiano, un cinema che, a partire dagli anni Sessanta, ha celebrato la capitale dell’industria divisa tra boom economico e «dolce vita». Tra le ultime produzioni va segnalata Fame chimica di Antonio Bocola e Paolo Vari (2004). Girato tra Baggio e la Barona, il film narra le vicende di un giovane che scarica casse in un supermercato e vive in un quartiere periferico della città.

Vittoria delle etichette indipendenti e del cinema autoprodotto, la pellicola parla di amore, rispetto e «vita di strada».
( 1 continua,,,)

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