Economia

La Cina spinge l’Europa ma Wall Street trema

Bilancio positivo per le Borse europee, spinte dalla cura d’urto da quasi 600 miliardi di dollari decisa dalla Cina, anche se con lo scorrere delle ore il corto circuito dell’economia americana ha rischiato di fare saltare ancora una volta il «contatore» dei listini internazionali. Dopo una mattina euforica, Milano ha così ripiegato (più 0,7% in chiusura), dietro a Londra (più 0,9%), Parigi (più 1%) e Francoforte (più 1,7%), tutte incapaci di seguire il maxi-rialzo messo a segno da Tokio (più 5,8%).
A fulminare il rimbalzo è stata New York (il Dow Jones ha lasciato sul terreno lo 0,8% e il Nasdaq l’1,8%), colpita da una serie di cattive notizie provenienti sia dal mondo della finanza (Aig, Fannie Mae e Goldman Sachs) sia dall’economia reale. La bancarotta della catena di prodotti elettronici Circuit City ha infatti reso più evidente il propagarsi dell’infezione al fronte dei consumi, cui si è aggiunta l’aggravarsi dell’agonia di General Motors: il titolo ha ceduto fino al 30% a Wall Street, tornando ai minimi da 60 anni sotto i colpi inferti dagli analisti di Deutsche Bank, secondo cui Gm andrà a zero dopo le bocciature ricevute da alcune agenzie di rating e i timori per la cassa espressi da Barclays.
Poco prima Tesoro e Federal Reserve erano tornati a rianimare con 40 miliardi di dollari il colosso assicurativo Aig, ritirando nuovi titoli del gruppo con la conseguenza di fare lievitare a 150 miliardi il costo del salvataggio per i contribuenti americani. Cui si sono aggiunti i continui cedimenti accusati Fannie Mae che, già nazionalizzata d’urgenza nei mesi scorsi, ha chiuso il trimestre con una maxiperdita da 29 miliardi di dollari e di Goldman Sachs, che ha pagato le voci di un ulteriore aumento di capitale dopo la recente vendita di 5 miliardi di dollari di azioni convertibili al finanziere Warren Buffett.
Una miscela tossica per investitori e analisti, ormai persuasi che i ripetuti allarmi cancelleranno altri 70mila posti di lavoro negli Stati Uniti. Lo spettro della recessione ha pesato anche sul prezzo del petrolio che ha sfondato la soglia dei 60 dollari al barile (meno 2% a 59,10 dollari il minimo della giornata, il livello più basso dal marzo 2007) malgrado l’Opec appaia intenzionato a tagliare al più presto ulteriormente la produzione: i signori del greggio si riuniranno il 17 dicembre in Algeria.
A parte il calo dell’Euribor (4,405% il tasso a tre mesi, il minimo da marzo) a poco è valsa anche la prospettiva che le banche centrali siano pronte ad abbassare ancora il costo del denaro: «In alcuni casi il raffreddamento delle pressioni inflazionistiche, se confermate, potrebbero consentire una riduzione dei tassi di interesse», ha annunciato al termine del G10 in corso in Brasile il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet. «A dicembre, nella nostra prossima riunione, non escludiamo di tagliare i tassi», ha precisato “Mister euro“. Alla fine della giornata appare lontana l’enfasi con cui Pechino aveva accompagnato il maxi intervento a sostegno della propria economia.
A preoccupare gli investitori internazionali sono ancora gli Stati Uniti, dove anche Ford e Chrysler sperano per sopravvivere nel pacchetto da 50 miliardi di aiuti con cui sembra concordare anche Barack Obama che si insedierà alla Casa Bianca a gennaio.

Da questa mattina la parola torna ad Asia ed Europa.

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