Quello che colpisce, scorrendo i dati di Banca Esperia (la joint-venture tra Mediobanca e Mediolanum nel private banking) è la crescita della massa gestita: da 8 miliardi dell’inizio 2009, a 12,5 miliardi di oggi, un incremento del 50%. É segno che la crisi non tocca i grandi patrimoni?
«La flessione c’era stata tra i 2007 e il 2008 - spiega Andrea Cingoli, dalla primavera dello scorso anno amministratore delegato dell’istituto dopo una brillante carriera nel gruppo svizzero Ubs -. Nella seconda parte del 2009 abbiamo assistito a un forte recupero, e il tasso di crescita dell’anno in corso è del 27%. Nell’ultimo trimestre dello scorso anno abbiamo avuto l’impatto positivo dello scudo fiscale, che da solo ci ha portato 1,5 miliardi di patrimoni di amministrare».
La vostra crescita è comunque molto superiore.
«Abbiamo rafforzato la nostra struttura commerciale con molta deterimnazione. Il nostro è un business di massa critica; occorre, in altre parole, una dimensione che permetta di offrire un portafoglio di servizi ampio come il nostro. Oggi il mondo del private banking italiano è molto frammentato: noi, con i nostri numeri, siamo solo decimi perchè è ancora forte la presenza delle banche retail. Abbiamo una quota prossima all’1,5% su un mercato stimato 1.000 miliardi».
Chi sono i vostri clienti?
«Famiglie con un patrimonio liquido da investire da un milione di euro in su. Prevalentemente imprenditori, titolari di aziende quotate e non, distribuiti anche nella privincia italiana, soprattutto al Nord. Molti sono ancora i fondatori delle aziende, dove sono già affiancati dai figli».
E perchè si rivolgono a voi? Garantite rendimenti superiori?
«No, il rendimento non è la finalità determinante. E comunque dipende dagli strumenti finanziari, che vengono scelti insieme, secondo il profilo dell’investitore. Noi cerchiamo anzi di darci funzioni conservative, la ricerca di una superperformance appartiene a una parte molto limitata della nostra clientela».
E allora, che cosa vi chiedono?
«Lo scopo principale è quello di organizzare il patrimonio di famiglia, di dargli delle logiche per obiettivi. I temi vanno dal passaggio generazionale in azienda, ai potenziali rischi di crisi finanziaria, che si sono acuiti negli ultimi anni: il patrimonio di famiglia deve dare sicurezza ed essere utilizzabile nell’impresa in caso di necessità. Poi ci sono i rischi familiari, legati alla successione, ai rapporti tra coniugi, con i figli, con mogli e mariti dei figli...».
Quindi voi siete...?
«... dei registi di strategie. Facciamo quello che prima facevano, nei rispettivi ruoli, il notaio, l’avvocato, il commercialista di famiglia. Negli anni Settanta e Ottanta è stata dedicata molta attenzione alla governance aziendale, con la proliferazione di holding e di esterovestizioni. Per la cura del patrimonio familiare si è fatto poco, e oggi si comincia a provvedere».
Sulle scelte pesano sicuramente anche gli aspetti fiscali
«Sì, ma si tratta di un tema delicato perchè talvolta possono far perdere di vista gli aspetti sostanziali».
Avete dieci filiali, ma quella più a Sud è a Roma. Come mai?
«La nostra clientela è sensibile alla vicinanza territoriale, percepita come fattore di fiducia, ma tiene molto alla riservatezza. Questo è particolarmente sentito al Sud, e i nostri clienti meridionali convergono sulla nostra sede di Roma, che oltretutto è in Piazza di Spagna, dove (sorride, ndr) possono passare inosservati tra i turisti».
Con i vostri soci, Mediobanca e Mediolanum, avete sinergie?
«Sicuramente, e cerchiamo di svilupparle nella maniera più razionale. Mediobanca, in particolare, interviene là dove ci fermiamo noi: sulla consulenza nei business più propriamente aziendali, dando indirizzi finanziari che possono arrivare alla quotazione in Borsa dell’impresa».
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