Citigroup, spuntano i petrodollari di Abu Dhabi

da Milano

Dall’incetta dei titoli di Stato al presidio nei templi dell’industria e della finanza mondiale: a meno di 24 ore dell’ingresso degli sceicchi di Dubai nel colosso nipponico dell’elettronica Sony, i «cugini» petrolieri di Abu Dhabi hanno versato 7,5 miliardi di dollari nelle casse di Citigroup, prenotandosi come primi azionisti del gruppo americano rimasto schiacciato dalla crisi dei mutui subprime. La chiave di accesso è rappresentata dal fondo sovrano Adia (Abu Dhabi Investment Authority), che riceverà appositi titoli a reddito fisso convertibili in azioni grazie ai quali, tra il marzo 2010 e settembre 2011, potrà «ritirare» fino al 4,9% della banca guidata da Win Bischoff.
Il maxi-pacchetto (235,6 milioni di titoli), sebbene Abu Dhabi abbia accettato un ruolo puramente «passivo», rinunciando a ogni influenza sulla governance del gruppo, consentirà ad Adia di scalzare Capital Group dalla prima pagina del libro dei grandi soci di Citigroup. Dove peraltro figura da tempo il miliardario saudita Al Waleed che potrebbe quindi avere favorito l’ulteriore liaison verso il Medio Oriente.
Per entrare in una delle istituzioni di Manhattan, gli arabi pagheranno fino a 37,24 dollari ad azione, molto di più delle quotazioni segnate dal tabellone di Wall Street, dove ieri Citigroup, che dall’inizio dell’anno ha perso il 46% della propria capitalizzazione, passava di mano a 30,7 dollari. Altalenante anche la reazione del mercato alla mossa di Adia perché i 7,5 miliardi di dollari offerti rischiano di non essere sufficienti per risollevare il colosso Usa. Alle prese con la prospettiva, dopo aver defenestrato il numero uno Charles Prince, di gravare il proprio bilancio con 8-11 miliardi di svalutazioni e di provvedere a un ulteriore drastico taglio del personale: per il quarto trimestre dell’anno Citi prevede 5-7 miliardi di profitti in meno. Più ottimista Bischoff secondo cui il capitale assicurato da Abu Dhabi permetterà al gruppo di «perseguire opportunità attraenti per crescere nel suo business».
«Consideriamo Citi una società dotata di un marchio di primo piano e con incredibili opportunità di crescita», ha rimarcato lo sceicco Ahmed bin Zayed Al Nahayan, direttore del fondo Adia confermando la fiducia nel potenziale del gruppo che nel 2008 centrerà gli obiettivi di rapporto tra liquidità e debiti.
Adia, in ogni caso, ha strappato un dividendo annuo dell’11 per cento: la cedola, più che doppia rispetto ai treasury a dieci anni, compensa la «passività» dell’investimento e l’elevato prezzo prospettico corrisposto per ogni azione. Tale rendimento segna al contempo la penuria di liquidità conseguente al crollo dei prodotti strutturati con cui le banche re-impacchettavano il rischio dei mutui americani. Simile la situazione nel Vecchio Continente, dove l’Euribor a tre mesi è prossimo al 4,7% contro un costo del denaro fissato dalla Bce al 4 per cento.
Visto lo stallo del «superfondo anticrisi» sponsorizzato dal Tesoro statunitense e vista la difficoltà in cui versano colossi come Fannie Mae e Freddie Mac, i «petrodollari» sembrano quindi rappresentare una delle poche leve finanziarie con cui superare la crisi subprime.
La campagna acquisti dei fondi sovrani è peraltro in corso da tempo.

A maggio Dubai aveva puntato sulla prima banca europea, la britannica Hsbc, mentre lo scorso mese Bear Stearns ha ceduto ai cinesi di Citic Securities. E la finanza del Corano è anche tra i soci della superborsa Milano-Londra: il listino di Dubai ha il 20,4% e il Qatar il 14,9 per cento.

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