CLASSICI Modesta proposta: aboliamoli per leggerli meglio

In un suo diario giovanile del 1917, il Quaderno genovese, Eugenio Montale, l’imminente, prodigioso poeta degli Ossi di seppia, progettava di scrivere una piccola Storia della Letteratura Italiana «con un libro che presenti sulle altre opere consimili il vantaggio della brevità e sincerità». Ebbene, ogni volta, ogni anno che si rimaterializza la concreta attesa degli esami di Maturità, torna la voglia di interrogarci sul tema dei pochi veri Classici della nostra letteratura; ma totalmente, puntigliosamente riaggiornati...
Due anni fa un finissimo esegeta come Salvatore Settis si interrogò sul Futuro del «classico», ammonendoci sul suo urgente bisogno di attualizzazione: «Il “classico” potrebbe a buon diritto essere ancora oggetto di attenzione e di studio, e avrebbe senso riproporlo, anche nella scuola, non più come immobile e privilegiato gergo delle élite, ma come efficace chiave d’accesso alla molteplicità delle culture del mondo contemporaneo, come aiuto a intendere il loro processo di mutuo impenetrarsi». Anche Ezra Pound, che metabolizzando i classici visse e forgiò i suoi Cantos, catechizzava non sull’idea ma sul concreto ruolo del Classico, «grazie a un non so che d’eternamente e irreprimibilmente fresco».
Ma cosa importa oggi realmente, a un ragazzo più o meno 18enne, di Manzoni, Foscolo, Leopardi, o Ungaretti - così come li trova calati nei suoi grossi, avulsi e asettici tomi scolastici? Perché dovrebbe poi scegliere il tema letterario? E collegandolo come, con l’attualità vera, concreta, tutt’altro che virtuale?! Per questo non ci stupisce che negli ultimi anni i maturandi abbiano disertato e ripudiato in massa un autore come Pavese, fulgido mito giovanile per almeno tre generazioni, compresa la nostra.
Ci sembra che tutta la storia della letteratura risuoni oramai inesorabilmente virtuale, e si accetti - la si studi - solo per esigenze d’interrogazione o di esame... Facciamo molti incontri nei licei di tutta Italia (conferenze varie, giornate della poesia), e godiamo della raddoppiata attenzione degli studenti, proprio quando proviamo a stuzzicarli, a «modernariare» e attualizzare questi grandi nomi odiosamabili... Stupisce insomma la vera e propria stupefazione dei ragazzi quando parliamo, magari, dell’esilio ininterrotto di Foscolo, o della sua duplicità di poeta Classico ma insieme Romantico... O quando ci divertiamo a raccontare la vita e l’opera di Tasso come un film d’avventura, tenebroso e lirico, appassionato e punito nella passione (la splendida Liberata che diventa, si invischia e depaupera, per paura «politica», nella Conquistata).
Ci chiediamo dunque se sia davvero possibile, presentando di volta in volta un Grande assoluto e celebrato, cavar fuori da quello storico sclerotizzato destino d’autore una mappatura, una rilettura simpaticamente contemporanea! Esempio strano e magico: il ’600. In poco spazio se ne può dimostrare perfino la paradossale attualità, sotto altre vesti e forme. La velocità, la leggerezza - tutte qualità, forse decisamente virtù, che amava additarci Italo Calvino, no?
Una breve storia «moderna» della Letteratura Italiana, dovrebbe avere il coraggio di tentare un nuovo sguardo, una nuova ottica per raccontare gli autori e leggere le grandi opere celebrate con uno spirito tutto contemporaneo. Provare magari a rimisurarle, queste opere, avendo per metro campione le citate 6 «virtù» della moderna Scrittura elogiate, teorizzate e praticate dall’autore de I nostri antenati: Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità e quella Consistenza, la cui lezione egli non fece in tempo a redigere. Vi sono pagine intriganti e rapinose di Alberto Savinio sul Barocco come italica componente antropologica: «Il pregio maggiore del barocco è questa funzione di sincerità, di confessione... Vinta l’irritazione che il barocco mi dà; vinta la ripugnanza che mi dà il barocco deteriore, cristianamente io confesso che amo del barocco la gonfia, la mascherata miseria dell’umanità». Un paradossale e salubre ribaltamento!
Finalmente, Foscolo: Forma e Cuore; dal classicismo al romanticismo; esule ovunque: «Un dì s’io non andrò sempre fuggendo/ di gente in gente...». Laddove con Monti e Alfieri il Poeta non più si scontra ma s’accorda col Politico; tesse rapporti col Potere maiuscolo; s’adegua a un mondo che cambia: «Così, col protegger le lettere, risibilmente ed invano comanda il principe agli scrittori di farsi sublimi; perché la mercede che da esso ritraggono necessariamente da ogni vera sublimità di pensieri gli svia; e quindi le vere lettere invilite rimangono, o poste in silenzio» (Del Principe e delle lettere, 1789).
E anche qui, basta rileggersi uno scrittore appassionatamente ed eticamente moderno come Corrado Alvaro per comprendere tutta l’inopinata attualità del Settecento illuminista e illuminato: «Molti sono i fenomeni settecenteschi del mondo d’oggi, cioè i fenomeni legati al sentimento d’una profonda mutazione, di cui si ignorano i termini, della civiltà e della società». Giudizi (sic!) del 1954, in piena Ricostruzione, come la si disse.
Versi, sciogliete le righe! «Zang - Tumb - Tumb. Adrianopoli, Ottobre 1912». Con le «parole in libertà» si arriva al Futurismo, anzi ai futurismi: perché ce ne furono diversi - Marinetti, Boccioni, Soffici; perfino il primo Papini. Entriamo così anche noi nel pieno, folle, mortifero crogiuolo del ’900. Pirandello (l’identità e il relativismo), Svevo e gli «Inetti». L’ingresso della psicanalisi... Saba/Ungaretti/Montale (Ermetismo e dintorni). Si commenti l’ossessione del buio per Il fu Mattia Pascal: «Com’altro è il giorno, altro la notte, così forse una cosa siamo noi di giorno, altra di notte: miserabilissima cosa, ahimè, così di notte come di giorno».
Ed ora una breve analisi di due versi de La casa dei doganieri: «Il varco è qui? (Ripullula il frangente/ ancora sulla balza che scoscende...)». Cos’è il «varco», nella dorata misteriosa prigione della Modernità? E da quale cupa, buia alienazione, da quale male di vivere dobbiamo a stento fuggire, salvarci?
Infine, il bisogno e lo sforzo per un’Etica della Modernità. Pasolini, Sciascia, Primo Levi, Calvino. Fino all’omologazione, al Postmoderno in atto, ai dannati rischi della globalizzazione. E l’eticità, si badi bene, non è una semplice provocazione un po’ alla moda - è una necessità, un dovere.

Pasolini, pedagogo nato, voleva abolire la scuola dell’obbligo e la televisione; ma fino ai suoi ultimi mesi di vita sognava squisiti trattatelli contemporanei proprio per catechizzare gli insopportabili, ma in realtà beneamati ragazzi di oggi: quelli che preferiscono, forse giustamente, il rock alle antologie, i fumetti di Andrea Pazienza o Dylan Dog ai secolari Tesoretti e Canzonieri, e i concerti da stadio alle ostiche sillabazioni metriche su Orazio o Lucrezio. «Il futuro dell’uomo! Nessuno sapeva più nulla della pietà,/ della speranza: sapevano,/ in questa accanita città,/ solamente il futuro...».

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