Per Natale, il mio amico Giulio Mozzi mi ha fatto un bel regalo: la seconda edizione de L’arte della memoria di Tito Aurelj, pubblicata da Carlo Voghera in Roma nel 1905. Oltre a estenuanti tavole e vocabolari che servono per apprendere l’arte «la più facile che esista», il volume presenta anche una sezione storica, in cui può leggersi, ad esempio, di quando il poeta greco Simonide (556-468 a.C.) fu invitato un giorno ad un convivio ed era ancora all’esterno della casa quando il pavimento della mensa crollò. Alcuni convitati si precipitarono fuori, scampando così alla rovina, e subito iniziarono a domandarsi chi fosse rimasto schiacciato all’interno. Al che, Simonide, iniziò a far la lista con tale precisione che in molti si meravigliarono, come pure lui stesso. Capì che aveva ricordato quei nomi, associando a ognuno di essi un volto, e a ogni volto il suo posto alla tavola. Fu per questo che Cicerone, nel De oratore, parlò di lui come dell’inventore dell’arte del ricordare, la mnemotecnica. Anche Quintiliano gli rese omaggio per lo stesso motivo, mentre Plinio narra di come Ciro sapesse il nome di ciascun soldato della sua armata, mentre di Cesare racconta che conosceva i nomi di tutto il popolo romano.
Altri prodigiosi «ricordatori» dell’antichità furono Mitridate, Artaserse, il console romano Ortensio e pure quel Carneade che Don Abbondio mostra di non conoscere ne I promessi sposi, e che invece fu filosofo e ambasciatore di Atene a Roma, e pure così eloquente che Catone il Censore lo rimandò indietro perché quando parlava sapeva confondere il vero e il falso; pare che riuscisse a ripetere a memoria ogni volume, come se lo leggesse. Nel 1482, poi, Pubblicio stampò una Ars memorativa in cui, oltre a riprendere la topologia di Simonide, spiegò una nuova tecnica, la simbolica, per cui a ogni idea può essere ricondotto un segno, o simbolo, «per analogia o anche per convenienza». Nel De memoria et reminiscentia, ad esempio, si associava il sistema dei casi grammaticali a parti del corpo umano - così, dunque, il nominativo era associato alla testa, l’accusativo al petto che può ricevere colpi, il genitivo alle mani, che posseggono od offrono, e così via - mentre nell’Ad Herennium si immaginavano i testicoli del caprone per ricordare la parola «testimoni», secondo un’associazione puramente etimologica.
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Il giorno della Befana, al mattino, dopo aver dato le calze ai miei due bambini, ho aperto il manuale mnemotecnica al Titolo 7: Ricordare le 12 costellazioni, dove l’Aurelj suggerisce questa frase: «Ritorce ai Can le verghe; e li corpi li gitta a capo giù in acqua ai pesci», e spiega: «Quel ri è la seconda sillaba di Ariete, tor ci dice il Toro, e ce i Gemelli, can il Cancro, le il Leone, verghe la Vergine, li la Libra, corpi lo Scorpione, gitta il sagittario, capo il Capricorno, e pesci i pesci».
Senza neppure tentare di mandar giù a memoria il trucco, ho chiuso L’arte della memoria e ho preso il Corriere della Sera: nella prima pagina della Cultura c’era un articolo di Massimo Gaggi sulla grande biblioteca online di Google intitolato «Un mondo senza libri. E senza memoria». Pare che i fondatori del motore di ricerca più utilizzato, Larry Page e Sergey Brin, abbiano intenzione di convertire in files scaricabili tutti i libri del mondo, per costituire una vera e propria libreria universale. Che questo obiettivo sia o meno raggiungibile, è comunque evidente come i vari Google, Yahoo! e Msn abbiano modificato il nostro approccio al sapere, tanto che nell’articolo, lo stesso Gaggi si chiede se i motori di ricerca «non uccideranno la memoria (...) Perché assoggettarsi alle fatiche dello studio, perché passare ore e ore a memorizzare dati quando, digitando una o due parole, possiamo ricostruire qualunque nozione, dalla data della battaglia di Austerlitz ai passi salienti del Riccardo III, al tempo che farà dopodomani in Nuova Zelanda?».
Letto il pezzo, mi è venuta subito voglia di aprire il computer, andare su Google, e digitare «costellazioni». Il primo risultato è stato un link al sito www.pd.astro.it, dove però ho trovato una «lista delle 88 costellazioni», dove c’erano pure la Lepre, Andromeda, il Leone Minore, la Chioma di Berenice e la Macchina Pneumatica. Ma io volevo sapere soltanto il nome delle costellazioni dello Zodiaco! Così ho digitato «12 costellazioni» e il primo sito suggeritomi da Google è stato www.lunario.com, dove finalmente ho trovato l’elenco che cercavo, da Ariete a Pesci. Ma chi mi garantisce che quell’elenco è esatto? Chi si cela sotto il nome di «lunariopuntocom»? Un astrofisico, una maga, un burlone... Magari uno smemorato? Se la mia fonte è un libro, posso dire di dormire sonni relativamente tranquilli: il nome e le notizie biografiche dell’autore di un testo di fisica, e soprattutto l’editore che lo ha pubblicato, possono offrirmi delle garanzie immensamente superiori a quelle di internet.
Il vero problema, però, è un altro. Fino all’avvento dei motori di ricerca sul web, avevo soltanto due modi per ottenere l’elenco delle dodici costellazioni: spulciare un libro oppure ricordarmi l’elenco (magari con un trucco mnemonico, come quello suggerito dall’Aurelj). Se stavo scrivendo un racconto o un articolo e quell’elenco mi serviva, avrei potuto alzarmi dalla scrivania e consultare l’enciclopedia. Per informazioni così semplici, però, la memoria era una scorciatoia, per cui non avrei dovuto abbandonare la sedia. Ma oggi? Basta un click, e via... La memoria non mi serve più.
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Per i Greci, la personificazione della memoria era Mnemonide, che secondo Esiodo (Teogonia) partorì le Muse, «oblìo dei mali e tregua alle cure. Per nove notti ad essa si unì il prudente Zeus, lungi dai mortali». La memoria era dunque la madre delle Arti. Ecco che per uno scrittore, l’utilizzo di Google configurerebbe un matricidio.
Secondo Alessandro Manzoni, in quel fatidico 5 maggio del 1821, la spoglia di Napoleone stette immemore: ciò che d’irrecuperabile v’era nella morte, per l’Imperatore, era il ricordo della sua straordinaria esistenza.
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