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Clima L’Onu ora si inventa l’ecoprofugo

Come se non bastassero i milioni di individui che chiedono asilo politico dalle persecuzioni, i profughi dai Paesi devastati dalle guerre civili e gli aventi diritto ad assistenza umanitaria che già premono alle nostre porte, ora si avanza all'orizzonte anche la categoria dei profughi ambientali: di coloro, cioè, che sono costretti a lasciare le proprie terre in seguito alle catastrofi naturali, come inondazioni, desertificazioni o siccità prolungate, naturalmente tutte attribuite al famigerato effetto serra. Nel solo 2008 sarebbero stati, secondo quanto riferito al Convegno di Terranostra in corso a Firenze, diciotto milioni (il 98% dei quali nei Paesi in via di sviluppo da cui provengono già oggi quasi tutti i migranti) e presto potrebbero essere duecento milioni. Attualmente, gli ecoprofughi tendono a spostarsi all'interno del proprio Paese, o al massimo verso un Paese vicino che si trova in condizioni migliori. Ma se la categoria fosse davvero inserita tra quelle cui bisogna offrire ospitalità, comincerebbero anche loro a muoversi verso i Paesi più avanzati.
Per adesso, siamo ancora in una fase preliminare. Come prima mossa, l'Assemblea generale dell’Onu, dominata dal Terzo mondo, si prepara ad adottare una risoluzione che collega ufficialmente il cambiamento del clima al mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. Ma, sulla base di questa dichiarazione di principio, è già allo studio la richiesta di una modifica della Convenzione di Ginevra del 1951, che oggi regola le richieste di asilo, per dare agli ecoprofughi il medesimo status giuridico di cui godono oggi i profughi politici. Si tratta, chiaramente, di una fuga in avanti, nel senso che una riforma del genere spalancherebbe le porte dell'Europa (e degli altri Paesi industrializzati) a una tale massa di persone da rendere la situazione insostenibile. Anche a prendere in considerazione solo eventi recentissimi, acquisterebbero il diritto d'asilo gli abitanti dei delta del Gange e dell'Irrawady che hanno visto le loro terre sommerse dal mare e i milioni di etiopi vittime dell'ultima siccità. Diventerebbe anche impossibile, per le autorità, verificare chi ha e chi non ha diritto d'asilo. È perciò molto improbabile che i firmatari della Convenzione accettino di prendere la proposta, se e quando sarà presentata formalmente, in seria considerazione. Tuttavia, il semplice fatto che a qualcuno venga in mente di formularla, in un momento in cui già le norme vigenti sembrano troppo generose per essere sostenibili, dimostra come, in questa delicata materia, sia diffusa l'irresponsabilità.
La situazione è infatti tale, che, se mai, bisognerebbe non allargare, ma stringere maglie che vennero fissate oltre mezzo secolo fa, in condizioni geopolitiche completamente differenti, quando i soggetti da proteggere erano soprattutto fuggiaschi dai regimi comunisti dell'Europa orientale. Oggi, in regime di mobilità globale, gli aspiranti rifugiati possono arrivare dal mondo intero, e fornire ogni sorta di motivazioni. Per fare solo un esempio dei difetti della normativa vigente, la ragione per cui i Paesi che catturano bucanieri somali nel corso della guerra alla pirateria nel Corno d'Africa, sono poi riluttanti a processarli davanti ai loro tribunali - come il diritto marittimo darebbe loro diritto di fare - è il timore che, una volta arrivati in Europa o in Usa, chiedano asilo politico in quanto, se rimandati in patria, potrebbero essere perseguitati come "traditori" dai loro ex compagni.
La comprensione e la generosità verso le popolazioni vittime dei disastri, politici e naturali, di cui abbonda soprattutto l'Africa è doverosa, e può manifestarsi con un’intensificazione degli aiuti o - quando i governi lo meritano - con una remissione dei debiti.

Ma mobilitiamoci subito contro questa idea folle che basta avere perso due raccolti per acquisire il diritto di venire in Europa: per questa parte del mondo sarebbe la fine.

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