Il Colonnello ritarda e Fini gli chiude la porta della Camera

Roma Divise, kaftani, jalabie, poi i cammelli, le amazzoni e gli anelli d’oro con la testa di leone. Il Colonello, quando c’è, non è un tipo che passa inosservato. Ma spesso si nota di più anche quando non c’è, come alla Camera, dove per mezzo pomeriggio la sua poltrona nella Sala della Lupa resta vuota senza spiegazioni. L’appuntamento con scelti ospiti, organizzato dalle fondazioni di Massimo D’Alema e Beppe Pisanu, è per le 16,30. Passano i minuti, le mezz’ore, le ore, finché alle 18,30 Gianfranco Fini si secca e tra gli applausi di tutti cancella l’incontro.
No Gheddafi, no party. Dato «il ritardo ingiustificato» e per «il dovuto rispetto delle istituzioni in una democrazia», il presidente della Camera annulla l’iniziativa. «La decisione è ineccepibile - commenta subito D’Alema -, è una questione di decoro e di rispetto del Parlamento». D’accordo pure Pier Ferdinando Casini, che già da un pezzo si lamentava: «Roba da matti, mi sento umiliato». Esultano il dipietrista Donadi, «Fini ha difeso la dignità della Camera», il presidente della comunità ebraica Pacifici, «ha difeso l’onore di tutti gli italiani», il leader della Destra Storace: «Quello è beduino».
Subito dopo, mentre il pubblico stremato dall’attesa sciama dalla Sala della Lupa, Fini, D’Alema e Pisanu si chiudono nell’ufficio del presidente della Camera. «La mia è stata una decisione autonoma», spiega Fini mentre dalla tenda di Villa Pamphilij comincia a filtrare il motivo della «buca»: il Colonnello ha un malore. Certo, Gheddafi non è mai stato molto puntuale. Lo sa bene D’Alema, che una volta l’ha aspettato fino alle due di notte nella hall di un hotel di Tripoli. E che dire del ministro degli Esteri spagnolo Moratinos, tornato a Madrid dopo un’inutile notte d’attesa? E anche Napolitano l’altro giorno se lo è visto comparire al Quirinale con una buona mezz’ora di ritardo. Ma stavolta è troppo, si sono detti Fini e D’Alema, qui non siamo nel deserto ma nel tempio della democrazia e, se stava davvero male, poteva farcelo sapere prima.
Invece niente. È stata proprio la mancanza di notizie, fanno sapere a Montecitorio, alla base della scelta di Fini. Una «scelta autonoma» e presa senza nemmeno preavvertire i libici. E solo dopo infatti il presidente della Camera si attacca al telefono, informa Giorgio Napolitano e comunica la cosa a Silvio Berlusconi ottenendone, pare, «piena comprensione». E, dal punto di vista diplomatico, Fini viene coperto dal ministro Franco Frattini: «È stato giusto cancellare l’incontro».
Resta il giallo sulle reali condizioni del Colonnello. «Ha avuto un malore - spiega D’Alema alle 19,30 uscendo da Montecitorio -. Pisanu e io, in quanto organizzatori di questa sfortunata iniziativa, stiamo andando a trovarlo». E resta agli atti il duro discorso che Fini aveva preparato: «Il colonialismo è finito, ma le democrazie, a partire da quella americana, possono sbagliare, però non possono certo essere paragonate ai terroristi». La crisi diplomatica resta nell’aria fino a tarda sera. Poi la mediazione di D’Alema e Pisanu riesce nel miracolo: Gheddafi «si scusa per l’accaduto».

Ma è sano come un pesce. Se ha tardato, spiega l’ambasciata libica «è per la preghiera del venerdì».
L’ultima visita della giornata è quella di Berlusconi, che sul tardi è andato a trovare il colonnello nella tenda di Villa Pamphili.

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