Le colpe del club Progetto fallito, ma solo il tecnico ci mette la faccia

di Tony Damascelli
Lentamente, inesorabilmente affiora la verità sulla Juventus. Nessun progetto, come la propaganda di Blanc vorrebbe far credere, ma la semplice e aspra realtà di un gruppo che ha pensato di vivere di rendita, altrui, e di sfruttarne gli interessi. La squadra ha perso coraggio, sostituendolo con l’insicurezza e la paura. La società ribadisce di non essere adatta a gestire le difficoltà, se poi queste diventano critiche allora la situazione è ai limiti. I tifosi, quelli di Torino, sono tra i peggiori in circolazione, la Juventus conta il maggior numero di sostenitori in tutt’Italia, si dice oltre dieci milioni, ma nella città di origine il pubblico è scarso o presenta la sua faccia becera, violenta, ingrata. Le immagini televisive di domenica sera, quelle che arrivavano dalla tribuna d’onore, sono la testimonianza buffa di come la Juventus sia circondata da personaggi reduci e sopravvissuti all’impero, dalla Evelina Christillin a Lapo Elkann, sorridenti, presenzialisti, folkloristici ma inutili quando è o sarebbe l’ora di mettere gli attributi sul tavolo delle decisioni.
Prima del fischio d’inizio della partita si sono viste altre figure allegre, Buffon che abbraccia e sorride a tutti ma che non gioca per una promessa fatta a Manninger! Iaquinta, il cui infortunio confermerebbe la malasanità italiana, pure lui in tenero affetto con il corregionale Gattuso e gli altri sodali azzurri, insomma l’atmosfera giusta per un’amichevole, non la presunta sfida anti Inter. A fine partita Ciro Ferrara ha offerto la sua faccia lunga, come la barba, mentre né Blanc, né il suo vice Bettega, né l’altro componente la nuova triade, Secco, abbiano avuto l’idea e l’ardire di prendere posizione e illustrarla con le parole, anche di rito, tipo «il progetto va avanti» o ancora «dobbiamo lavorare tutti di più». Sul ritorno di Bettega ho già detto che rappresenta l’ammissione di un fallimento da parte della società e l’opportunista accettazione, da parte del dirigente, di mettersi al servizio di chi nei mesi scorsi aveva denunciato la vecchia dirigenza di reati amministrativi.
Il quadro sembra confuso ma è chiarissimo. Le campagne acquisti dell’era post Calciopoli hanno portato a Torino due certezze, Sissoko e Iaquinta, pagati complessivamente 23 milioni di euro; poi una speranza carissima, Amauri costato 22 milioni e ottocentomila euro; sono stati, infine, spesi 100 milioni di euro per i magnifici 7: Boumsong, Almiron, Andrade, Tiago, Poulsen, Diego, Melo. I primi tre o si sono ritirati o lavorano altrove, il quarto è stato appena ceduto in prestito all’Atletico di Madrid, il quinto è un’onesta riserva ora fermo per un mese, gli ultimi due sono da inchiesta (tralascio i casi di Knezevic, Grygera, Salihamidzic, Stendardo, Manninger, Grosso, Cannavaro e resto in curiosa attesa di sapere che cosa decideranno per Caceres). Totale: la squadra ha recuperato la serie A ed è rimasta in piedi con Buffon, Chiellini, Del Piero, Camoranesi, Nedved, Trezeguet, tutta roba del vecchie regime oltre ai giovani, De Ceglie, Ariaudo, Giovinco, Marchisio, Paro prodotti dello stesso governo.
Un paio di sondaggi tra i tifosi, lanciati da La Stampa e da Tuttosport, hanno ricevuto risposte secche: l’80 per cento dei votanti chiede l’esonero di Ferrara. Il quale ribadisce che non lascia la nave che affonda. Qualcuno dovrebbe domandare, tuttavia, chi sia il responsabile dell’affondamento e che, eventualmente, sia l’armatore a decidere il futuro del comandante. Ma l’armatore non sa navigare per questo mare. Allontanato Tardelli, tenuto da parte Boniperti, il solo a segnare veramente la storia del club, richiamato Bettega, si parla adesso di Zoff; restano a disposizione Longobucco e Zaniboni, eventualmente Bercellino e Caocci. Gioco con le figurine, mentre i tifosi più radicali chiedono, con una provocazione, che i calciatori non indossino più la maglietta bianconera ma si limitino alle divise in oro o in grigio metallizzato, di tendenza sponsor.
La Juventus che cerca il futuro continua a guardare un passato (quello più comodo) che non c’è più, con la scomparsa dei fratelli Agnelli. Gli eredi conoscono gli affari del marketing e dell’impresa, il calcio non è soltanto questo. Bisognava pensarci nell’estate del duemila e sei, oggi è tardi, a meno che gli eredi di cui sopra non trovino il coraggio di fare quello che nel millenovecentonovantuno fece il loro nonno. La Juventus di Montezemolo, scivolata al settimo posto in classifica, non era riuscita a qualificarsi nemmeno per le coppe europee.

L’Avvocato azzerò in un giorno soltanto il consiglio di amministrazione, mandando a casa tutti e riaffidando la squadra e la società a Trapattoni e Boniperti. Tre anni dopo, il fratello Umberto, visti i risultati insoddisfacenti (due secondi posti, un quarto posto e una coppa Uefa!) avrebbe fatto lo stesso. Ma si trattava degli Agnelli.

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