Un colpo di Tex Willer e il videogame va in tilt

Nel mondo virtuale se qualcosa non piace, si clicca e lo si fa sparire. Non lo dico io - benché, preoccupato, condivida il concetto - ma lo scrive il professor Vittorino Andreoli. Parole, le sue, lette avidamente tempo fa e poi sbrigativamente archiviate alla voce «vabbè, quando sarà il momento, ci penserò».
Diamine. Il momento è arrivato. E in fretta. Il professor Andreoli, noto psichiatra, aveva così concluso un suo scritto sulla perdita dei sensi nella digital generation. Non solo: aveva sottolineato che i ragazzini e gli adolescenti di oggi, cresciuti fin dai primi battiti in sala parto con la presenza accanto di un computer, vivono sempre più in un mondo virtuale, un mondo che quando viene spento li proietta in quello reale che subito li angoscia.
Poche settimane dopo questa lettura, complici Gesù Bambino e quel nordico slittato di Babbo Natale, due creature di otto e sei anni fin lì rimaste lontane dal mondo digitale, si sono trovate in mano un paio di console portatili. La prima creatura, una volta appresi i rudimenti del videogioco, ha più o meno detto «vedi, questo cagnolino? Lo seguo, lo nutro, lo porto di qui e poi di là e... no, però adesso non mi piace più, per cui lo cancello...». Asserzione seguita poco dopo a tavola da una richiesta: «Eeeh quando mi comprate un cagnolino vero?».
Il pranzo mi è ovviamente rimasto sullo stomaco all’idea che la piccola, in un futuro, avrebbe potuto cliccare la testa del cagnolino vero non appena si fosse stufata. Da qui la decisione di affidare all’altra creatura, più giovane di due anni, giochi meno eticamente impegnativi. Solo che poi la suddetta più giovane creatura, un maschietto, ha espressamente chiesto un videogioco come quello dell’amichetto che «spara e c’è il super eroe e...» me lo sono visto un giorno adolescente in piazza impegnatissimo a non distinguere completamente tra le sagome vere e quelle virtuali dei videogiochi a cui si era abbeverato.
Per cui ho preso il piccolo e a una fiera di paese gli ho comprato una pistoletta giocattolo da cow-boy, di quelle di una volta, con un bel cinturone di Tew Willer. È stato rincuorante osservare le manine che la toccavano incredule, e gli occhi felici che s’illuminavano ben consapevoli però di avere a che fare con un gioco che faceva solo bang e pure il puzzo di polvere da sparo, ma non faceva male a nessuno neppure virtualmente.

Ora il cowboy è tutto un rotolare in giardino dietro i cespugli, mentre la sorella alle prese con il video gioco del cagnolino ad ogni sparo urla al fratello di piantarla «che me lo spaventi». Sempre meglio che cancellarlo con un clic. Avanti così, e fra un po’, magari le arriva quello vero.

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