Il comitato del sì ha occupato tutti i canali Rai

La campagna referendaria fatta dal servizio pubblico

Il comitato del sì ha occupato  tutti i canali Rai

Oggi molti rimpiangono un po' le vecchie tribune politiche di mamma Rai. Vi ricordate i dibattiti a cura di Jader Jacobelli, uno che di giornalismo televisivo se ne intendeva? In quelle trasmissioni nulla era lasciato al caso: il pluralismo dell'informazione era garantito e ogni gesto, ogni parola sembravano mixati con il bilancino del farmacista: tot minuti per i rappresentanti della maggioranza, tot minuti (gli stessi) per quelli dell'opposizione. È vero, quei programmi apparivano grigi e noiosi come le immagini in bianco e nero che venivano trasmesse da viale Arsenale a Torino, ma, almeno, era garantita al cento per cento una spartizione salomonica dello spazio televisivo a disposizione di ciascun schieramento.

Oggi, in nome di questo benedetto pluralismo, va in onda esattamente il contrario.

Non per accampare scusanti, ma, nella vicenda del referendum, i vertici della Rai, di cui faccio anche io parte come consigliere d'amministrazione, hanno poche responsabilità. Il problema è un altro: la campagna è cominciata in grande stile senza che il Parlamento avesse ancora varato uno straccio di regolamentazione da osservare. A partire subito all'attacco è stato proprio il premier Renzi. Sì, proprio lui che dovrebbe essere il primo garante di un'informazione referendaria completa e trasparente. Domenica scorsa, il giovin Matteo è partito, lancia in resta, a favore del «sì» mettendo addirittura in campo uno squadrone di costituzionalisti pronti a dichiarare in tutte le salse che la riforma varata dal governo è la migliore di questo mondo. Dopo il presidente del Consiglio, in un crescendo rossiniano, si è mossa la ministra Boschi che, con quello sguardo un po' così, ha lanciato in tv una specie di referendum-bis tra i partigiani: quelli doc che voteranno «sì» e quegli altri, un po' fasulli, che si schiereranno per il «no». Last but not least, è intervenuto il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, che, da quando ha lasciato il Colle, siè messo ad esternare senza freni: partigiani o non partigiani, bisogna votare «sì».

Insomma, qui qualcuno ha fatto il furbo e, giocando d'anticipo, ha preso tutti in contropiede prima che entrasse in vigore il famoso codicillo che dovrebbe regolare il traffico del servizio pubblico. Ecco, così, la denuncia di Alessandro Pace, professore emerito di Diritto costituzionale nonché presidente del Comitato per il «no» che ha rilevato come, in questi giorni in Rai, i renziani abbiano fatto la parte del leone lasciando agli avversari solo gli spiccioli. Per questi motivi, il consigliere della Rai Arturo Diaconale e il sottoscritto con lui - chiederanno, nel corso del cda in programma oggi, l'intervento della commissione parlamentare di Vigilanza chiamata a varare, in tempi brevissimi, il famoso regolamento: tutti ne parlano, ma nessuno l'ha visto. Il nostro intervento segue a ruota quello di un altro consigliere Rai, Carlo Freccero, che martedì ha mobilitato i grillini pronti a presentare subito un esposto sull'argomento all'Agcom. Bisogna arginare subito le fughe in avanti per il «sì» che, approfittando del «vulnus» hanno fatto il bello e il cattivo tempo e non solo nella trasmissione di Fazio. Ci hanno detto che la lottizzazione era un retaggio della Prima Repubblica e che ci sarebbe stata liberà e spazio per tutti anche in Rai.

A prescindere dal caso Porro, mi sembra invece che, nel nome di uno sbandierato pluralismo almeno sulla carta e che, in ossequio alla completezza dell'informazione, si rischi di finire nell'eccesso opposto: monopolio su tutta la linea. A questo punto urge una risposta del Parlamento a stretto giro di posta, prima che sia troppo tardi.

Giancarlo Mazzuca

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