Il commento Davos, quella fiera delle banalità da abolire

Il Forum dell’economia mondiale di Davos andrebbe proprio abolito. Ci sono quest’anno 2.500 persone, tra cui spiccano 1.500 tra grandi imprenditori e banchieri, con delegazioni di 90 Paesi e 30 fra capi di Stato e di governo. Il tema all’ordine del giorno è di una vastità da far tremare le vene e i polsi: si tratta di «ripensare, ridisegnare, ricostruire». È un modo pudico per alludere agli errori delle banche che hanno generato la crisi in corso e alle misure per rimettere la macchina economica in moto.
Si diceva una volta, in una barzelletta sui carabinieri, che andavano sempre in gruppo perché ce ne volevano tre, per avere un cervello di capacità normale. Ma temo che, per Davos, non bastino i 2.500 convegnisti, per tirare fuori qualcosa di utile. I due primi discorsi sono stati di Nicolas Sarkozy, presidente della Repubblica francese e di Jean-Claude Trichet, presidente della Banca centrale europea. Sarkozy ha detto che la grande questione del Ventunesimo secolo è come mettere l’economia al servizio dell’uomo. Non pare una grande novità, dato che nel 1961, il professor Francesco Vito, preside della Facoltà di economia dell’Università cattolica di Milano, pubblicava la sesta edizione del suo libro «L’economia al servizio dell’uomo».
Il presidente francese poi ha detto che non era a Davos per dare lezioni a nessuno, ma ha aggiunto che se siamo arrivati a questa deriva è perché i banchieri non hanno fatto il loro mestiere. Questo, credo, la gente lo avesse già capito, molti lo stanno sperimentando su di sé. Ha anche aggiunto che occorrono nuove regole e che la Francia, quando nel 2011 avrà la presidenza del G8 e del G20, proporrà una nuova regolamentazione monetaria mondiale per sostituire quella di Bretton Woods. Sarebbe stato più utile che Sarkozy, intanto, prendesse posizione sul modo di far ripartire i finanziamenti delle banche alle imprese.
Anche il presidente Trichet è rimasto nell’ovvio, nel generico e nello stratosferico. Ha detto una cosa ovvia, ma troppo generica quando ha affermato che l’economia mondiale stava per cadere in una profonda depressione e che questa è stata evitata dall’intervento dei governi e delle banche centrali. Forse poteva spiegare da cosa è stata generata la depressione, cioè se qualche colpa ne hanno anche le banche centrali e i regolatori di mercato, dipendenti dalle banche centrali o dai governi. Ed è stato ancora nel generico, ma anche nello stratosferico, quando ha osservato che si sta tentando di rendere il sistema bancario globale più forte non con più regole, ma con regole migliori e che bisogna adottare soluzioni globali perché quelle nazionali o regionali sono la ricetta della catastrofe. Non ha spiegato in cosa consistano queste regole migliori, chi le stia preparando, a che punto si è, se c’è consenso fra Stati Uniti, Europa e Paesi asiatici su questa nuova regolamentazione e che cosa ne pensi il mondo bancario. Circa le banche dell’Eurozona ha detto quello che già si sapeva: che non sono abbastanza trasparenti e che hanno un patrimonio scarso e, quindi, non riescono a soddisfare le esigenze di credito dell’economia. Ha aggiunto che dovrebbero distribuire meno utili e dare meno bonus ai loro dirigenti, per rafforzare tale patrimonio. Ma non ha detto nulla su quello che la Bce pensa di fare per spingere le banche a prendere queste misure e per risolvere i problemi del credito.


Nel gennaio 2006 il Corriere della Sera rimproverò Giulio Tremonti perché non era andato al Forum di Davos, sostenendo che il governo di Berlusconi dava prova di mentalità provinciale.
Semplicemente evitava una perdita di tempo.

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