Il commento L’immunità è già nella Costituzione

L'attesa pronuncia della Corte costituzionale sul «Lodo Alfano» ripropone antichi equivoci risalenti alla soppressione dell'istituto dell'immunità parlamentare avvenuto per opera del Parlamento stesso nel pieno della stagione di Tangentopoli. Leggendo improvvisate e sorprendenti interviste a costituzionalisti più o meno autorevoli o noti che denunciano il rischio di gravi disuguaglianze di fronte alla legge connaturato al «Lodo Alfano», non si può, infatti, non ricordare che la Costituzione del 1948 aveva direttamente previsto (seguita a breve da costituzioni come quella tedesca e di tante altre democrazie post-belliche che alla Costituzione italiana si sono rifatte) con l'articolo 68 il principio della immunità per i rappresentanti della democrazia e della sovranità popolare. E, del pari, a quanti dall'altro lato, ministro Guardasigilli compreso, denunzia che una eventuale caducazione del Lodo provocherebbe una crisi del sistema e imporrebbe un nuovo provvedimento di simile tenore, va sottolineato che proprio il Parlamento, in un momento storico di scarsa lucidità, soppresse, come si diceva, un principio della cui costituzionalità non sembra aver pregio discutere in quanto espressamente previsto dalla Costituzione stessa.
Semmai, un appunto andrebbe rivolto al Legislatore un po' frettoloso che sin dal «Lodo Schifani», preso forse da condizionamenti tutti politici e per niente giuridici, recuperava solo una parte dell'antico contenuto dell'immunità e lo concentrava solo sulle più alte cariche dello Stato, prescindendo da aspetti legati alla funzione e omettendo di affrontare o riaffrontare il tema originario dell'immunità come corollario della sovranità democratica e popolare. E bene fece la Corte costituzionale ad evidenziare i limiti e le disorganicità di quel provvedimento con una pronuncia che, come correttamente è stato ribadito più volte in sede parlamentare e dal ministro della Giustizia, ha costituito il presupposto giuridico e, sotto certi aspetti, lessicale del cosiddetto «Lodo Alfano». I contenuti di quest'ultimo, ormai a tutti noti e sottoposti al vaglio della Consulta, partono proprio dall'attuazione correttiva di quei parametri di costituzionalità enunciati dalla Corte nel pronunciarsi sul vecchio «Lodo Schifani».
Il resto della discussione è solo politica, anche volgare, e non tiene presente un dato, questo sì, che forse potrebbe giustificare la possibile, corretta obiezione da rivolgere al «Lodo Alfano». Il fondamento costituzionale dell'immunità risiedeva nella Costituzione, nel principio della rappresentanza popolare di ciascun eletto. Ciò rendeva e rende, per effetto del «Lodo Alfano» i presidenti di Camera e Senato coperti dalla guarentigia in quanto deputati e senatori. E sembra che tale principio, legato a quelli che i costituzionalisti chiamavano «interna corporis», potesse essere correttamente esteso al presidente del Consiglio e al presidente della Corte costituzionale. Il presidente della Repubblica era ed è, invece, tutelato da specifica e peculiare immunità non coperta dal vecchio articolo 68 e mai soppressa e quindi potremmo dire che non ha bisogno del «Lodo Alfano».

Ai dipietristi di queste ore, possiamo allora ricordare, concludendo, che l'unico vero limite costituzionale del «Lodo Alfano» è stato quello di non aver colto in pieno che, piaccia o no, il principio dell'immunità era e resta l'unico valore pacificamente compatibile con la Costituzione semplicemente perché in essa previsto, e per tutti i parlamentari in quanto rappresentanti del popolo sovrano, almeno fino a quando, un parlamento in grave difficoltà se ne è privato. E su questi valori e spunti non resta che aspettare finalmente le parole di chiarezza che solo dalla Consulta potranno arrivare.
*Magistrato, deputato
componente Commissione giustizia

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