Il commento L’intifada di Baradei? Nemica dell’Occidente

Vedremo Muhammed Al Baradei o il movimento Kyfaia o i Fratelli Mussulmani al potere in un Egitto nato dalla piazza? E porteranno la democrazia? Per ora, l’insediamento al potere di Omar Suleiman, ministro e principe dei servizi segreti, nel ruolo di vice presidente non è altro che la conferma del fatto che Mubarak non ha nessuna intenzione di lasciare il potere. L’esercito non l’ha abbandonato e Suleiman è al suo fianco da tempo immemorabile.
Il vecchio faraone forse potrà, nella più antica tradizione imperiale, come Ramses quando aveva più di 80 anni, celebrare la festa del suo ringiovanimento senza lifting, grazie a Omar. Ramses ogni anno, fino a oltre 90 anni (lo impariamo da Fuad Adjami grande storico arabo) innalzava un obelisco per ringraziare gli dei. Il popolo egiziano, salvo che per il traumatico assassinio di Sadat, non ha mai ucciso i suoi faraoni. Anche quando nel 1952 distrusse il potere di Muhammad Alì, la sua dinastia era al potere di 50 anni. Ma quando si sentono colpiti nell’onore i fellahim, contadini affamati ma di nobili antichissimi costumi, e la sua colta e pigra borghesia, come è successo quando i tunisini sopravanzarono il popolo egiziano, allora accade l’inenarrabile. Così fu dal 2350 al 2150 avanti Cristo, quando gli uomini che conosciamo raffigurati dai cocci egizi, si rivoltarono fino a liberarsi dal regno di chi li affamava. Così può accadere con Mubarak.
Educatamente gli Usa e il resto del mondo gli chiedono di spostarsi almeno un po’ sul quel largo trono, ma Mubarak sa benissimo che la richiesta non sarà troppo insistita, perché l’ultimo a interessarsi seriamente di diritti umani è stato George Bush, con i suoi pregi e difetti, e al resto del mondo interessa soprattutto la stabilità. Ma quanto fragile è questa scelta lo si vede in queste ore.
Di stabile in Egitto non c’è proprio niente. Prima di tutto, Mubarak da una parte reprimendo e dall’altra sussumendo le opposizioni estremiste, comprese la Fratellanza Mussulmana, ha di fronte, oltre che un innegabile desiderio di libertà e rinnovamento, anche un’opinione pubblica spaventosa. Lo prova l’ultima indagine Pew: in Egitto l’82 per cento è favorevole alla lapidazione delle adultere, il 77 per cento al taglio della mano, l’84 alla pena di morte per i musulmani che cambiano religione. Richiesti se preferiscono i modernizzatori o gli islamisti, il 27 tiene per la modernità e il 59 per cento vuole gli islamisti. Il 30 per cento ama gli Hezbollah, il 49 Hamas, il 20 Al Qaida. Chi può gestire una simile opinione pubblica in senso riformatore democratico? La risposta più realistica è che le riforme le farà ancora Mubarak con l’aiuto di Suleiman per evitare di essere rovesciato.
Se guardiamo al futuro, tuttavia, non si placherà spontaneamente la grande «Intifada» cui ha invitato fino alla vittoria il candidato di una parte dell’opposizione, Mohammed El Baradei: l’uomo che piace di più all’Occidente con i suoi abiti ben tagliati, il suo premio Nobel per la pace, l’innegabile coraggio di mostrare la faccia in mezzo alla sanguinosa confusione egiziana e il suo passato di segretario dell’Agenzia Onu per l’energia atomica, l’Aiea,che lo ha reincaricato ben tre volte.
Ma come ha gestito il suo mandato? Certo in modo non rassicurante. Per John Bolton, allora ambasciatore all’Onu degli Usa sono incalcolabili i danni da lui procurati con la difesa a oltranza delle strutture nucleari iraniane, di cui ha seguitato a sostenere, falsamente, la sostanziale innocuità e la destinazione a fini civili. El Baradei ha paragonato la potenza nucleare israeliana a quella iraniana, ha detto che Israele è il peggiore pericolo per il Medio Oriente, ha più volte riabilitato la Fratellanza Mussulmana. Su questa, nata in Egitto e decisa a conquistarlo anche con recente congiura sediziosa di matrice iraniana in uno stato coranico jihadista, ovviamente non possiamo contare per un regime di riforme. Poi, il movimento Kifaya che, nato nel 2004 sulla legittima richiesta a Mubarak di non presentarsi candidato presidente per la quinta volta, è di origine comunista, antisemita e antioccidentale, estremista tanto da mettere in programma la cancellazione della pace con Israele.


Insomma, Mubarak si trova schierati contro oltre a un popolo giustamente infuriato per il pane e la corruzione anche tutti i gruppi che gli Usa e l’Europa hanno lasciato crescere trascurando l’opposizone democratica vera, come quella di Saad Eddin Ibrahim o di Ayman Nur, per paura di disturbare il manovratore. Un guaio vero, tanto che Khamenei dall’Iran fa sapere come se non lo sapessimo, che questa rivoluzione gli piace moltissimo.

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