Il commento Pugno duro dello Stato ma il Sud scelga da che parte stare

È stato giustamente osservato che nel video sull’«omicidio in diretta» a Napoli ciò che più sconvolge è vedere la gente che scavalca il cadavere e se la squaglia. Qualcuno, intervistato, s’è lasciato scappare: è che ormai alle ammazzatine per strada abbiamo fatto l’abitudine. Ma è possibile che il popolo più «anema e core» del mondo sia diventato così freddo che manco un lappone? No, non è indifferenza da assuefazione, è paura.
Il presunto «palo», poi rivelatosi un semplice passante, l’ha detto: ho paura, non mando neanche più mia figlia a scuola, stiamo asserragliati in casa. Già, il timore è essere messi di mezzo, magari, inconsapevolmente, dall’intervistatrice della tivù locale che ti viene ad assillare con le sue domande e, nella concitazione, dici qualcosa di troppo, qualcosa che magari viene interpretato chissà come dal killer e/o dai suoi mandanti. Quella non è gente abituata a comprendere, capire, interpretare. Per quella gente le cose sono nere o bianche, con loro o contro di loro. Quelli si permettono il lusso di ammazzare a volto scoperto perché sanno che nessuno parlerà. La solita omertà dei meridionali, si dice. Ma l’omertà nasce dalla paura, perché poco mi importa se lo Stato finirà prima o poi col mettere le mani sul mio assassino. Questo significa che lo Stato fa meno paura della camorra. Meglio un cattivo processo che un buon funerale. È vero, l’attuale governo sta facendo contro la criminalità organizzata molto di più dei precedenti, i numeri parlano chiaro. I colpi inflitti ai cancri del Sud, mafie, camorre, ’ndranghete, da questo governo sono importanti e in non pochi casi clamorosi. Ma non ancora definitivi, ed è questo il punto. L’omertà da paura si supera solo con la fiducia totale nelle istituzioni. Tutte: governo, magistratura, forze dell’ordine, media, clero. Ciò significa che la si deve far finita una buona volta col buonismo, sia quello meschino da calcolo elettorale sia quello imbecille degli utili idioti, a qualunque parrocchia appartengano. Detto questo, rimane pur sempre un altro problema da affrontare. Sì, perché è inutile girarci intorno: il problema del Meridione sono i meridionali. E lo dico da meridionale, compaesano, per di più, del ministro della Giustizia. Ma quando vedo la polizia non di rado bersagliata dalle finestre mentre arresta un latitante e i giornalisti presi a pedate, non posso non ammettere sconsolato che, sì, ci sono due Italie. E che quella del Sud è a sua volta spaccata in due: metà indossa la divisa della Legge e spesso per essa muore, l’altra metà la Legge la odia. Chi scrive proviene da una famiglia di poliziotti e ha ormai l’età per ricordare i tempi in cui i poliziotti e i carabinieri meridionali erano mandati a prestare servizio lontano dal Meridione, appunto perché non era poi così difficile che avessero qualche parente dall’altro lato della barricata. Meglio non indurli in tentazione. Ancora: chi scrive ha più volte testimoniato nei suoi libri la sua simpatia «borbonica» e rimane convinto che le radici del problema meridionale vadano ricercate nel cosiddetto Risorgimento. Ma non è così fanatico da chiudere gli occhi di fronte al fatto che furono i tradimenti a far crollare le Due Sicilie, non i garibaldini. Il problema del Sud, già allora, erano i sudisti e pare proprio che non abbiano mai cessato di esserlo. Ha detto bene Marcello Veneziani (altro meridionale), in un recente editoriale: anche la mala pianta del «chiagni e fotti» ha messo piede nel nostro Sud. E, in altro editoriale, Feltri ha infilato il dito sulla piaga (politica) della mia Sicilia, che «è autonoma quando spende e italiana quando incassa». Sacrosanto.

C'è, davvero, un problema antropologico di cui non si può non prendere atto? I meridionali sono di temperamento estremo, di qua o di là? Sono, come diceva qualcuno, di animo feudale, sensibili cioè ai rapporti diretti da uomo a uomo (protezione in cambio di fedeltà) e insensibili a quelli astratti cittadino-istituzione? E allora com’è che esiste da sempre una rinomatissima tradizione giuridica di scuola meridionale, anzi, napoletana? Diceva Prezzolini che le costituzioni dovrebbero essere per i popoli come i vestiti: se uno ha la gobba, il suo sarto deve tenerne conto. Come risolvere, allora, il problema? Eh, lo sapessi farei il politico, anzi lo statista, e non lo scrittore.

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