Il commento Quante analisi sballate: altro che oracoli

La prima reazione al giudizio dubbioso sulle prospettive italiane emesso da Standard and Poor’s è un po’ emotiva: dire che le agenzie di rating tanto non indovinano mai. È vero, sbagliano quasi sempre, ma ciò che scrivono va comunque letto e capito e, soprattutto, sottratto a un banale uso politico.
Ma noi vogliamo essere un po’ emotivi e cominciamo dagli errori. La lista, anche andando indietro di pochi anni, è spaventosa: si va dalle banche statunitensi ritenute solidissime (ancora a pochi giorni dal crac della Lehman Brothers) alla Enron, sempre americana, che riuscì a farsi classificare come buon investimento quando già i suoi conti erano compromessi e il micidiale gioco sui titoli derivati applicati al mercato dell’energia si sarebbe potuto rivelare al grande pubblico.
Venendo da queste parti andatevi a ricercare, tanto per dire, i rating della Parmalat gestione Tanzi e vedrete dei voti rassicuranti. Tra tanti studi e analisi che le tre agenzie producono a ritmo serrato, poi, neanche uno andava a mettere il dito nella piaga dell’euro, per evidenziare i rischi che sarebbero esplosi con Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda. Eppure ciascuno di questi Paesi aveva un problema specifico che sarebbe stato il caso di mettere in evidenza con maggiore chiarezza. Invece, niente da fare: nessuna previsione utile sulla bolla immobiliare spagnola, sulla bassa crescita e sulla questione della competitività in Portogallo, sulla poca stabilità di uno sviluppo centrato solo sulle banche e sulla bassa tassazione per le imprese estere in Irlanda e sui conti greci taroccati.
Sì, perché lo stesso ingresso della Grecia nell’euro avvenne presentando bilanci pubblici non corretti e in quella circostanza alla distrazione dei governi europei si sommò quella delle agenzie di rating, distrazione altrettanto o addirittura più colpevole, perché i governi possono avere una ragione politica per rispettare le carte presentate da altri Paesi mentre le agenzie dovrebbero avere solo e unicamente i numeri a guidarle e, in più, mentre un governo deve prendere le carte presentate e accettate da Eurostat per buone al «valore di facciata», le agenzie dovrebbero comportarsi come puntuti revisori dei conti e, quindi, non fermarsi ai bilanci, ma guardare anche che cosa c’è dietro.
Errori ce ne sono stati anche nella direzione opposta, cioè non valutando appieno (o non valutando affatto) situazioni promettenti per gli investitori. La crescita del Brasile, ad esempio, ha sorpreso le agenzie. E sul fronte delle aziende sono sembrati troppo negativi i giudizi sul settore automobilistico americano, ripartito alla grande, e anche, per stare da queste parti, sulla Fiat.
Fin qui gli errori. Ma, come dicevamo prima, le analisi delle agenzie di rating e quest’ultima di Standard and Poor’s vanno comunque lette e capite. Altrimenti finiscono nello stupidario della polemica politica. E allora scopriamo che l’agenzia ieri, intanto, ha mantenuto stabile il rating, e questa è la cosa più importante. Poi ha aggiunto che, di fronte a un lungo stallo delle decisioni politiche, le cose peggiorerebbero. Concretamente significa dare appuntamento da qui a 2 anni per ragionare di nuovo sui rating. L’analisi di fondo è comune alla visione di molti economisti: l’Italia ha una debolezza strutturale per il costo storico degli interessi sul debito, ma è invece forte nella posizione finanziaria delle aziende e delle famiglie e, cosa forse ancora più importante ai fini della stabilità, in quella delle banche. In queste condizioni, se proprio la politica dovesse arenarsi, certe difficoltà (forse) aumenterebbero.
Insomma, siamo a una previsione su una previsione e il tutto è sottoposto a una sfilza di ipotesi (si capisce che il margine di errore aumenta in modo impressionante). Tra queste ipotesi (non sufficiente comunque da sola), ad esempio, c’è quella di una crescita economica inferiore all’1,3% nella media degli anni da qui al 2014. Un quadro che non sembra realistico, ma che, appunto, l'agenzia presenta come scenario più negativo, da prendere in considerazione, certo, ma come possibilità residuale.
Se, dice poi l’agenzia, «il governo italiano riuscisse a raccogliere il sostegno politico per l’attuazione delle riforme strutturali i rating potrebbero rimanere ai livelli attuali». Insomma, la possibilità c’è e basta non incartarsi nello stallo politico.

Detta così sembra un’esortazione verso un risultato che avrebbe qualcosa di straordinario: superare e archiviare definitivamente la peggiore crisi economica e finanziaria dal Dopoguerra senza aver subito neppure un’incrinatura nel giudizio sui titoli pubblici italiani. Un’esortazione che, forse, merita una riflessione.

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