Complimenti Italia è un voto perfetto

Il voto perfetto. È stato un voto perfetto. Non lo dico per partito preso o perché mi piace l’esito di queste elezioni. Ma è stato un voto equilibrato, maturo, saggio perfino nell’astensionismo. Italiani, complimenti. Parlo del corpo elettorale come un corpo unico, come se l’Italia fosse una persona. Si possono non condividere e biasimare le singole intenzioni di voto, ma la somma è davvero meritevole di congratulazioni. Per cominciare, l’Italia ha deciso di non scegliere il buio ma di tenersi stretto il governo in carica. Non sarà entusiasta della situazione generale, ma con saggio realismo sa che sarebbe stato un salto nel buio bocciare Berlusconi. Non c’era una prospettiva decente, credibile e praticabile all’orizzonte, né fuori né dentro il centrodestra. E l’Italia non ha seguito il sarkoma o mal francese. Subito dopo va detto che l’Italia ha smesso saggiamente di dar peso politico alla grancassa di magistrati, giornali e tribuni della plebe, che speravano con la grottesca vicenda di Trani e poi con tutto il resto scoppiato a pochi giorni dalle urne, di ribaltare il risultato elettorale. Non ci sono riusciti, per fortuna.
Il cittadino si è tenuto stretto la sovranità popolare, non ha abdicato in favore delle oligarchie, anche sotto specie di avvoltoi. E il grado di diffidenza verso le inchieste della magistratura, o comunque la dissociazione tra la ragion politica e le responsabilità penali di taluni, ha salvato pure Vendola che aveva guidato una giunta finita nei guai con la giustizia per abusi e mazzette, donne e sanità. Se ne facciano una ragione i magistrati d’assalto: non si butta giù il governo Berlusconi con le intercettazioni, le inchieste a orologeria, i clamori pre-elettorali. Il popolo italiano è scafato. Va poi notato che la saggezza dell’elettorato ha corretto la follia burocratica, giudiziaria e politica che non era riuscita a trovare un decente rimedio per riammettere la lista del Pdl a Roma e provincia. Era un voto dimezzato, listato a lutto, per incapacità diffusa. Un’esclusione che ha pesato, eccome, ma l’elettorato laziale alla fine ha superato anche questa ingiusta esclusione, ascoltando tra l’altro anche l’anima cattolica e non dimenticando la brutta esperienza di Marrazzo. Complimenti, dove non sono riusciti tribunali e istituzioni, partiti, parlamento e governo, c’è riuscito l’elettore.
Poi, per continuare, l’Italia alle urne ha lanciato un bel segnale con l’astensionismo. Si può deprecare la scelta del singolo elettore di non andare a votare, ma il segnale complessivo è stato giusto, misurato, intelligente. È un segnale trasversale, che ha colpito a destra e a sinistra, passando per il centro e per la periferia. Indica la necessità di chiudere lo spettacolo indecente delle risse, l’inconcludenza dell’agire politico, e in positivo la necessità di avviare una stagione di concrete riforme per riconquistare la fiducia degli italiani. Non fate finta di niente.
Un bell’avvertimento l’elettorato lo ha lanciato anche a Di Pietro, dimostrando che se vuole buttarla sul voto giacobino, allora più brioso e divertente è il voto a Beppe Grillo piuttosto che ai sanculotti di Di Pietro. E la stessa rustica saggezza ha dimostrato l’Italia del nord premiando la Lega, sulle ali di Zaia e Cota, che come scrivevamo prima delle elezioni, si è dimostrata negli ultimi tempi il partito più saggio e più equilibrato, più vicino al territorio e più coerente.
Saggia è stata pure la risposta a quanti volevano bocciare il centrodestra a L’Aquila per dimostrare che la gestione del dopoterremoto è stato un disastro. E invece, il centrosinistra ha dovuto lasciare la provincia al centrodestra. Ma, a costo di scandalizzarvi, dirò che è utile pure la lezione pugliese. Il centrodestra, in particolare il leader regionale Fitto, sbagliò a non cercare un accordo con la Poli Bortone e l’Udc, incaponendosi a candidare il suo fidato Rocco Palese, bravo amministratore ma non adatto a fronteggiare Nichi; e per la seconda volta si è fatto fregare da Vendola. Che questa volta aveva già fregato la faina D’Alema e il Pd, e ha vinto nonostante la sinistra, la destra, il centro e i magistrati. Non sono un vendoliano, per carità, disto anni luce dal suo «omunismo» (comunismo omosessuale, o per dirla con i beceri, del suo frociocomunismo); ma per dire un’eresia a mezza voce, non mi dispiace che gli elettori abbiano sconfitto gli apparati, e che il popolo abbia premiato un venditore di sogni politici, in forma di poesia civile. Un leader populista che ha smerciato, in piena epoca cinica, la politica come parola, come avventura, come ideale. Una piccola utopia, che smentisce la natura levantina della mia regione.
Poca attenzione l’elettorato poi ha rivolto alla Partitocrazia in servizio e ai suoi leader e partiti rimasti in seconda fila. Dico Casini, Fini, la sinistra intera.

Il voto è andato a prescindere da loro, il consenso e dissenso è stato espresso su considerazioni di natura locale, personale circa i candidati, o su responsabili valutazioni generali e nazionali, ma non sulla base delle indicazioni dei Partitocrati, che non hanno contato granché. Per questo dico che il voto è stato perfetto, equilibrato, in linea con la storia del nostro Paese. Per una volta, diciamo: Brava Italia, ti sei comportata meglio della tua classe dirigente.

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