La notizia è persino noiosa nella sua burocratica letteralità: Federmeccanica disdice il contratto collettivo del 2008. La traduzione è la seguente: Confindustria insegue la Fiat. A viale dell’Astronomia si sono resi conto del pericolo che correvano: l’uscita definitiva della casa automobilistica dall’organizzazione romana. In un colpo solo si sarebbe distrutta la credibilità dell’associazione (la conseguenza più banale), ma soprattutto si sarebbe messo in evidenza come le relazioni industriali in Italia si dividono in due campi. Quelle dei servizi e delle imprese non concorrenziali, delle grandi ex partecipazioni statali, che trovano una grande e calorosa accoglienza nel palazzone romano oggi guidato da Emma Marcegaglia. E le imprese che cercano di resistere ai morsi della concorrenza, che più che ai convegni pensano ai loro conti economici. Non vi mettete a ridere: anche la Fiat oggi fa parte di questa seconda pattuglia. Cerca di vendere auto, costruendole decentemente, a prezzi competitivi e su scala globale. Insomma, Confindustria senza Fiat semplicemente non è. Tanto più che una rottura sulla predisposizione di un contratto delle tute blu, avrebbe visto l’universo mondo dei meccanici (quelli che competono si intende) seguire il Lingotto alla ricerca di un accordo più favorevole e flessibile. Ma andiamo per ordine e vediamo cosa sta succedendo, con qualche semplificazione. Tanto per intenderci.
Primo. A differenza del passato la Fiat non ritiene più che le sue relazioni industriali possano essere improntate ad uno scambio con la politica. Quando la Fiat dipendeva, e pesantemente, dagli aiuti statali il rapporto era molto semplice: quattrini pubblici versus pace sociale. L’equilibrio non era sempre perfetto, ma l’intenzione tale era. Oggi non è più così.La fabbrica di Pomiglianod’Arco vale come quella dello sconosciuto imprenditore del Varesotto: tocca lavorare. E Sergio Marchionne rompe così il patto di un lungo passato: pretende il rispetto sabaudo delle regole, licenzia chi scioperando boicotta, e produce all’estero.
Secondo. Il leader della Fiat fa un passo in più. Minaccia, clamorosamente, di non applicare più il contratto collettivo delle tute blu. Il contratto nazionale se lo può fare da solo. Non è un inedito: la Telecom ha avuto per anni il suo contratto collettivo. In questo modo non si tratta più a viale dell’Astronomia, ma al Lingotto e alle condizioni, dure, dei torinesi. Le imprese hanno infatti una certa libertà di applicare diversi contratti al loro interno: possono inquadrare i propri dipendenti in modi diversi. Nel passato, proprio per la rigidità del contratto metalmeccanico, chi poteva lo evitava. È il contratto meno innovativo dell’indup stria italiana (il chimico al contrario è da sempre considerato il più originale e flessibile). Marchionne ci mette poco a capire che la Confindustria, la Federmeccanica sono un ostacolo alle sue relazioni industriali. Far finta che la disdetta di ieri sia un atto spontaneo dell’organizzazione datoriale, è una balla. È il gesto disperato per non p g morire, dal punto di vista associativo.
Terzo. Nella sostanza il nuovo contratto collettivo su cui si sta lavorando, il contratto Fiat per intendersi, prevederà una regoletta fondamentale. Che recita più o meno così: «Le aziende che si trovano in particolari condizioni economiche o che hanno in corso processi di discontinuità produttiva potranno derogare anche in peius alle regole fissate dai contratti nazionali». Insomma, a livello centrale si fissano delle regole e a livello aziendale (in casi stabiliti) si possono derogare non solo in meliu s come oggi avviene, ma anche in peius . Roba coreana? Neanche un po’. È più o gg meno quanto hanno fatto in Germania le grandi imprese all’indomani dell’unificazione, sempre sulla spinta di alcuni gruppi che minacciavano l’uscita dalla Confindustria locale. Il risultato finale è che in circa dieci anni i salari dei tedeschi sono aumentati e il costo del lavoro per unità di prodotto è diminuita quasi il 10 per cento. Esattamente l’opposto di quanto è avvenuto in Italia, che ha visto le retribuzioni essere stagnanti e il costo del lavoro per unità di prodotto aumentare del 20 per cento (i dati si fermano al 2007).
Quarto.
Una parte dei sindacati, Cisl e Uil, che avevano già firmato un accordo che prevedeva deroghe, ma che per la sua natura giuridica non è vincolante, è della partita. La Cgil e la Fiom come sempre negli ultimi anni, non ci stanno. Un atteggiamento che la Fiat ha in uggia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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