«Confiteor» di Testori Ultimo atto

Invito a riflettere dalla storia vera del disabile ucciso dal fratello

«Confiteor» di Testori Ultimo atto

Miriam D’Ambrosio

La colpa, il perdono, la pena. E la confessione liberatoria. Tutto è compiuto. Il delitto, gli anni di carcere, l'espiazione.
Rino uccide Nando come Caino uccise Abele. Fratelli. Movente diverso, stesso legame. Rino è il protagonista di Confiteor di Giovanni Testori, in scena al Teatro Sala Fontana fino a sabato 18 giugno, per la regia di Franco Palmieri.
Testori lo scrisse a metà degli anni Ottanta, colpito da un fatto di cronaca, una tragedia familiare avvenuta a Busto Arsizio. Così diede voce alla figura di un uomo che ammazza suo fratello portatore di handicap, per sottrarlo a una vita misera, umiliante, parziale. Gli regalò parole scarne, crude, terrestri e sublimi, tanto profondamente umane da essere divine.
«Con Confiteor inizia di fatto l'ultimo periodo di Testori, quello in cui il mito viene accantonato per lasciare completo spazio all'uomo della strada - dice Palmieri -, l'uomo qualunque che diventa un eroe». Un eroe testoriano, uno che compie un atto estremo d'amore. Togliendo la vita e pagando con la propria.
In scena gli attori sono due: Rino e sua madre. Incarnati da Andrea Soffiantini e Fatima Martins, assorti in monologhi senza incontro, autori di parole che riempiono la loro solitudine.
«Rino è già morto e racconta alla madre come è arrivato a morire, violentato e ucciso nel cesso di un carcere - spiega il regista -. I personaggi rappresentano due condizioni mentali differenti, due monologhi della mente destinati a non incrociarsi mai. Due esseri che sono là da sempre, in uno spazio dove si alternano i flash back di incubi e ricordi».
Uno spazio privo di elementi scenici, tranne un coltello e un rosario. Un ring con quattro sgabelli di ferro, una prigione dove si compie un rito tremendo. E due corpi: un uomo, un avanzo di galera appena violentato e ucciso dai compagni di cella, e una donna, un'attrice esotica vestita di rosso, avvenente.
Non la solita madre scura, ma una femmina che suggerisce «il tema dell'incesto presente in Confiteor - aggiunge Palmieri - insieme al tema dell'omosessualità e dell'impotenza dell'amore che non raggiunge mai l'assoluto. Il linguaggio metateatrale è rivolto e, al tempo stesso, è contro il pubblico plaudente, come molti spettacoli di Testori.

Il pubblico viene quasi scacciato. Io in scena ho immaginato dei manichini che sono gli spettatori, completamente ignari di quello che accade, immersi in un'incoscienza totale. Ai manichini si rivolgono le parole spietate di Rino, sferzanti».

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