Coppie di fatto e gay pride È questa la citta di Pisapia

(...) (sembra che l’aggancio delle parole con la corteccia cerebrale, anche la più esterna, sia ormai un'utopia), ne riparla l'assessore Majorino ribadendo la priorità assoluta del tema delle unione di fatto. Coerentemente, visto che il tema era parte del programma elettorale.
Come si vede, si tratta di una questione che, di per sé, non è né di destra né di sinistra. L’idea del frocio comunista contrapposto al fascista armato di moschetto appartiene al folklore.
I problemi riguardano piuttosto la legge, ed è su quel piano che vanno formulate le domande.
Per quello che può contare la mia opinione, io sono moderatamente favorevole a una revisione della legge che regolamenta i matrimoni civili e all'introduzione di norme tutelative riguardanti le unioni gay.
Resta però il disagio di dover parlare di queste cose a partire da una concezione dell'uomo meschina e triste. Giovanni Testori, che era omosessuale e patì le conseguenze di questa condizione, pubblicamente dichiarata, riteneva che espressioni come «orgoglio gay» fossero offensive del dramma umano che quella condizione implicava (come tutte le condizioni, aggiungo).
È proprio a causa di questo quoziente di drammaticità che mi pare strano che la curia milanese, di solito molto attenta ai temi sociali (non posso dimenticare, per esempio, le parole importanti sulla questione degli stranieri, a Milano e non solo, pronunciate proprio dal nostro Arcivescovo), non abbia detto nemmeno una parola dopo questa autentica cascata di dichiarazioni talora demagogiche su un tema come questo.
Non posso credere che si voglia solo lasciare che passi il temporale in un momento delicato per la Chiesa milanese, con un Cardinale in partenza e un altro in arrivo. Non posso credere che il momento delicato possa impedire di pronunciare una parola forte sull’uomo e sulla sua condizione sulla terra (che comprende anche l’omosessualità). Una parola umana, larga, accogliente, generosa, ma anche precisa, che segnando dei limiti sappia anche indicare - attraverso questi stessi limiti - una vita migliore per tutti.
Com’è noto, la Chiesa sul tema dell’omosessualità dice parole molto chiare, scomode, dure. Parla di «unione contro natura» e di altre cose simili. Ma il problema non è solo questo. Il problema è dire quello che si ha da dire nel modo giusto, ossia mettendo in luce il vantaggio che la propria posizione può recare alla vita umana.
Ci si può atteggiare ad apertura e indulgenza, oppure ci si può trincerare dietro le dichiarazioni di principio: in ogni caso si tratta però di atteggiamenti, e basta.


Quello che mi aspetto dalla Chiesa milanese è che, di fronte a una presa di posizione come quella della giunta milanese su un tema così cruciale, parli anziché tacere e, parlando, sappia dimostrare la vera carità cristiana, che non è rigida ma nemmeno condiscendente, ma tesa soltanto a donare sé stessa.

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