Coro, orchestra e fumetti «Guerre stellari» diventa show spaziale

CONFESSIONE L’attore: sul set Harrison Ford e io eravamo convinti di girare un film di serie B

nostro inviato a Montreal

Intanto si capisce subito l’effetto che fa: un’orchestra sontuosa, le musiche di Guerre Stellari, un megaschermo lungo venti metri e alto dieci. Impressionante. In più lui, l’uomo che ora prende la rivincita sulla macchina, quell’Anthony Daniels che dal 1976, dall’epoca del primo Guerre Stellari, è dentro il robottino C-3PO ma ora guardatelo qui, con il suo viso senza tempo e senza maschera, sul palco del Centre Bell di fronte a diecimila persone estasiate che ascoltano le sue parole annuendo manco fosse Virgilio nella Commedia. Insomma, l’avete capito, questo è Star Wars in concert che la Barley Arts porterà a Milano il 26 e 27 marzo al Forum di Assago (www.barleyarts.com, 02 72113055) e che l’altra sera in due ore si è dimostrato, quasi a sorpresa, un trionfo della musica e della sua inevitabilità cinematografica. Dunque, ci sono gli 80 elementi e il coro della Royal Philharmonic Orchestra diretti dal composto Dirk Brossé. Suonano con inaudita energia le musiche che John Williams (5 Oscar, una lenzuolata di premi, autore delle colonne sonore anche di Lo squalo, ET, Indiana Jones, Harry Potter) ha composto dimostrando che la musica prima si guarda e poi si ascolta. E che sono proprio i suoi temi, dall’iniziale Dark forces conspire fino alla fine di A new day dawns, a tenere in mano la trama. Sul megaschermo sono accompagnati dalle immagini e dall’audio di quel rosario di eventi che ricama la più favolosa «space opera» mai vista, quell’incredibile melting pot di cinema, tv e fumetti, di etica e cristianesimo, di Hume ed Epicuro che ha incassato oltre 4,4 miliardi di dollari diventando ciò che è: un simbolo del Novecento anche fuori dalle sale. «Con il primo Guerre Stellari stavamo cambiando la storia ma non l’avevamo capito, credevamo fosse un film di serie B. Sul set recitavamo professionalmente, ma dietro le quinte io e Harrison Ford e Carrie Fisher ci guardavamo come a dire: ma che schifezza è questa?», ha raccontato con clamorosa onestà Anthony Daniels. È l’unico presente in tutti e sei i Guerre Stellari: è il maggiordomo metallico sempre al servizio dei buoni, quel C-3PO che è una sorta di burattino impacciato, quasi collodiano, ingenua parodia del consigliori di Palazzo o di un cicisbeo del Goldoni. Quando sale in scena con la gente che neppure respira per l’emozione, sembra Calvero in Luci della ribalta, gli stessi occhi di Charlie Chaplin all’ultima recita con Buster Keaton: accesi, vissuti, drammatici. Poi diventa la guida del concerto. Entra, racconta e, come spiega, «chiunque può capire». Oddio, è ottimista: non sempre la miscellanea è immediata e i salti di trama o gli incroci tra il primo e, per dire, il sesto episodio sono da laurea in guerrestellarologia.
Naturalmente, la platea pullula di laureati. C’è persino chi si veste come Anakin Skywalker o chi prova a farlo come la sua degenerazione Dart Fener (qui nel mondo anglosassone lo chiamano Dart Vader). E comunque nell’intervallo tutti sfilano tra le vetrine con costumi di scena, aggeggi e marchingegni prelevati di peso dallo Skywalker Ranch di George Lucas che mantiene vispa questa saga a colpi di marketing.

«È venuto a sentirci a New York, invece Harrison Ford se ne è fregato» ha detto C-3PO, pardon Daniels prima di andare sul palco, raccontare la più stellare delle lotte tra bene e male e poi andarsene dicendo: «Che la forza sia con voi. Sempre», mentre in sala c’era gente che piangeva, davvero.

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