«Laccusa ingiusta a un politico che aveva le responsabilità quali quelle che io avevo allora ha aperto una ferita non alla persona, ma al Paese, è stato un danno irreparabile creato alla politica italiana. E questo dimostra cosa accade, quale errore sia il giustizialismo quando viene assunto come mezzo di lotta politica».
È amaro, Calogero Mannino, oggi deputato Udc, un tempo ministro Dc. Amaro nonostante la gioia per la sentenza della Corte dAppello di Palermo che ieri lo ha assolto dallaccusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Unaccusa infamante, tanto più per un politico che, nel 91, aveva coniato per lo scudocrociato di Sicilia il motto «Contro la mafia, costi quel che costi». Unaccusa che, in termini personali, gli è costata 14 anni di calvario, quasi 23 mesi di reclusione - nove in carcere e 13 a casa - e la fine di una carriera politica che quando tutto è cominciato, con lavviso di garanzia del febbraio 94, era al suo apice.
Cè euforia, nella casa di piazza Unità dItalia dove Mannino ha atteso il verdetto con familiari e amici. Le telefonate di auguri - tra le prime quelle del premier Silvio Berlusconi, del presidente del Senato Renato Schifani, del leader dellUdc Pierferdinando Casini - si susseguono. Ma lui euforico non è. «Finalmente dice è stata scritta una parola, assoluzione, che potrebbe essere conclusiva. Unassoluzione che conferma la sentenza di primo grado (5 luglio 2001) e che spazza via una sentenza (la prima dappello, di condanna a 5 anni e 4 mesi, ndr) che già la Cassazione, nel 2005, ha stracciato». Un lieto fine atteso? «Sì, ne sono sempre stato convinto. Perché ho la coscienza tranquilla e perché nessuna delle accuse che mi sono state mosse ha trovato fondamento. È stata questa consapevolezza a darmi la forza di reagire, anche nei momenti più difficili». E di momenti difficili ce ne sono stati in abbondanza. Il più brutto? «Larresto, senza dubbio», dice. E poi il carcere. Impressionanti, nel dicembre del 95, le immagini di un Mannino fortemente smagrito ad una delle prime udienze del processo che ora - salvo ulteriore ricorso in Cassazione dellaccusa, il pg Vittorio Teresi, che aveva chiesto la condanna a otto anni, ieri ha detto che si deciderà dopo le motivazioni - dovrebbe essere arrivato alla conclusione. Un processo fiume: oltre 300 udienze, circa 400 testimoni, oltre 50mila pagine di documenti e ben 25 pentiti a puntare lindice contro Mannino, a parlare di summit e collusioni tra lui e i boss della mafia di Agrigento. Ieri la fine. Con lassoluzione di Mannino e la condanna al pagamento delle spese processuali del Comune di Palermo che col sindaco dellepoca - Leoluca Orlando - si era costituito parte civile. Solo una beffa a guastare la festa: da Trapani una richiesta di condanna di Mannino a sei anni e 4 mesi per frode vinicola, falso, truffa ai danni dello Stato e minacce a pubblico ufficiale.
Nulla a che fare, però, con la mafia. Ed ora? Mannino non ha intenzione di chiedere un risarcimento per ingiusta detenzione. A dargli la notizia dellassoluzione, il figlio, Toto, che un mese fa lha reso nonno. E proprio alla nipotina, Vittoria Maria, è legato un desiderio: «Spero di rimanere in vita sino a quando lei sarà in grado di capire.
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