Le cortigiane che ci meritiamo

I n un bel saggio, divertente ed elegante, che ha per titolo Cortigiane (Mondadori editore) Giuseppe Scaraffia, francesista e appassionato del costume, nota che le eroine ottocentesche che incarnarono quella definizione, da Lola Montez a Thérèse de Paiva, passando per Alice Oiry e per Marie Du Plessis, la celebre «Signora della Camelie», anticiparono la liberazione della donna nel Novecento, ovvero la sua emancipazione. Sarà sicuramente così, ma resta il dubbio che in quell’anticipazione e in quella proto-liberazione ci fosse più spirito, più gusto e più fascino rispetto a quanto è avvenuto nel secolo successivo e poi ai giorni nostri, dove il termine «cortigiana» ha finito con l’uscire dal lessico comune, sostituito da un mucchio di eufemismi che nel preoccuparsi di minimizzarne il coté carnale, hanno spinto l’acceleratore su quello artistico: attrice, modella, valletta, velina, letterina, animatrice...
Non è una questione di moralità, ciascuno fa del suo corpo e della sua testa ciò che gli viene meglio e sente più idoneo, ma basta leggere il racconto che di esse fa Scaraffia e paragonarlo con qualsiasi «biografia» moderna per vedere che lì c’era del genio e a suo modo dell’arte, e qui soltanto della noia. Ad Alice Ory che aspirava a recitare in teatro, Victor Hugo fece balenare l’idea di entrare alla Comédie Française. Certo, occorreva una sua immagine... Alice gli indicò il grande letto di casa: «È il mio album» disse. A una Ory dei nostri giorni, già solo per dire la stessa battuta senza sbagliare non basterebbero una dozzina di ciak.
L’anno scorso, quando ci fu lo scandaletto di un politico romano e di una disinvolta signorina nota come Pocahontas, si capì che ormai eravamo arrivati alla frutta. Alexandre Dumas figlio era solito dire della ballerina Lola Montez, una che non sapeva fare nulla, ma lo faceva benissimo, che «aveva intelligenza e coraggio per una dozzina di re». Una Montez contemporanea potrebbe forse avere l’una e l’altro, ma al massimo per una dozzina di calciatori, e questo aiuta a spiegare ancora meglio quello che stiamo cercando di dire.

Le cortigiane d’antan flirtavano e ridevano con Baudelaire e Flaubert, Liszt e Rossini, Manet e Courbet, facevano girare la testa a principi e ministri, oggi chi potremmo mettere in campo? Al massimo il pittore d’avanguardia, il principe di seconda mano, il romanziere col ciuffo, il semiologo con la barba, l’onorevole extralarge... In fondo ogni società ha le «cortigiane» che si merita e viceversa. Purtroppo.

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