Così Peppone e Don Camillo fanno le scarpe alla Cina

nostro inviato a Castel d’Ario (Mantova)

Fabio Travenzoli è di destra, uno dei piccoli imprenditori che per decenni hanno fatto grande la Lombardia. Gigi Perinello è di sinistra, un lettore del Manifesto, ma la sua fede politica non gli ha impedito di essere un eccellente commerciante. Uscire a pranzo con loro è uno spasso, eppure questi novelli Don Camillo e Peppone insieme sono riusciti a realizzare un piccolo miracolo: hanno sconfitto le regole, spietate, della globalizzazione.
La loro è una storia che scalda il cuore. Perinello fino al 2001 riusciva a realizzare fatturati milionari piazzando suole stampate, ma da quando i calzaturifici hanno delocalizzato all’estero il suo fatturato è crollato. Anche Travenzoli è del ramo, produce scarpe, da quattro generazioni. La sua ditta si chiama Astorflex e al lettore non dirà nulla, perché fabbrica prodotti finiti per conto di alcuni grandi marchi. Ma non è un bel lavorare. «Capita che mi chiedano di produrre scarpe a 20 euro, che poi vengono vendute in negozio a 150 euro», spiega Fabio. E per stare nei 20 euro un imprenditore deve usare la concia al cromo, additivi chimici, pelli scadenti provenienti dall’America Latina e dal Bangladesh. È sempre sotto ricatto, nel timore che non affidino la commessa a un cinese o a un ecuadoregno, che non possiede l’arte, ma costa meno.
Circa un anno fa, Fabio e Gigi hanno deciso di tentare un’altra strada. «Oggi il 70% del prezzo pagato al dettaglio finisce in tasca agli intermediari. Troppo. Se si riuscisse a mettere in contatto diretto consumatore e produttore sarebbe conveniente per entrambi: il primo paga meno un bene di grande qualità, il secondo guadagna il giusto senza farsi tirare il collo», spiega Perinello, che una notte ha avuto l’illuminazione. All’alba ha chiamato il suo amico e gli ha esposto l’idea. «Perché i Gruppi di acquisto solidali vendono solo frutta e verdura?», si è chiesto. «Perché non proporre loro scarpe di qualità, spiegando come e perché sono fatte?»
Fabio ha capito al volo. «All’inizio ci prendevano tutti in giro. Persino il mio commercialista rideva di noi», ricorda. E invece avevano ragione loro. Sono riusciti a produrre scarpe di grande qualità che vendono a un prezzo incredibilmente basso. Scarpe Made in Italy, anzi, made in Castel d’Ario, alle porte di Mantova. E la loro vita ha assunto nuovi colori, gioiosi, freschi, luminosi. «Anziché passare le giornate a lottare con fornitori e committenti, siamo sommersi dei messaggi riconoscenti dei nostri clienti; che sono già ventimila», spiega Gigi; tante sono le paia di scarpe vendute in un anno, con volumi in continua crescita.
Hanno iniziato proponendo due modelli di facile richiamo: la classica polacchina «desert boot» e i sandali estivi. La trasmissione Report, che li ha citati recentemente, ha chiesto a uno specialista, Andrea Traina, di esaminare cinque paia di polacchine sul mercato. Risultato: quelle della Astorflex sono risultate le migliori. Eppure erano di gran lunga le meno care. Costano appena 43 euro.
«Per la suola usiamo la para, ovvero la gomma naturale, la concia avviene secondo il metodo tradizionale, senza additivi chimici, e il sottopiede è in cuoio, non in crosta, che è la parte meno pregiata della pelle, e privo di cromo», racconta Fabio, camminando nello stabilimento.
La Astorflex continua a lavorare anche per i grandi marchi, ma la produzione in proprio le ha dato respiro e solidità. Nel 2007 Travenzoli era stato costretto a mettere in cassa integrazione alcuni dipendenti, in questo 2009 di grande crisi non solo non ha fatto ricorso agli ammortizzatori sociali, ma ha addirittura assunto tre operai, portando il totale dei dipendenti a 35. Fabio produce, Perinello si occupa della commercializzazione. Quasi ogni sera si presenta a un Gruppo di acquisto solidale. Guadagna due euro al paio, un margine molto onesto, ma di gran valore.
«Questa esperienza dimostra che è possibile continuare a produrre in Italia, a condizione di sottrarsi al diktat dei grandi marchi e della grande distribuzione», afferma Gigi. Fabio al suo fianco annuisce e annuncia l’introduzione in gennaio di nuovi modelli. Si guardano, s’intendono.

Cercano di resistere a una globalizzazione che favorisce i grandi gruppi, con ricarichi fino a 12 volte il costo di produzione, ma non sempre i consumatori, che spesso pagano carissimo beni in realtà di scarsa qualità, benché di marca.
Credono ancora al valore delle cose, Gigi e Fabio. Moderni eroi di un’Italia d’altri tempi, un'Italia autentica.

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