Così scambieremo merci per 70 milioni di tonnellate

La Tav è un'opera essenziale per favorire l'importazione di materiali e l'esportazione di prodotti

L'Italia, dal punto di vista economico, è tante cose: per esempio possiamo dire che è un museo, una fabbrica, un al­bergo, un emporio, un podere oppure una boutique e in ogni caso sbaglieremmo poco. Tut­te queste vocazioni hanno in co­mune una caratteristica, che è al contempo la croce e la fortu­n a del Made in Italy: per funzio­nare al meglio necessitano del­la presenza fisica delle persone e delle merci, necessitano quin­di di trasporti efficienti.

L'essere rimasti sulla sponda «tradizionale» rispetto all'eco­nomia «virtuale» non è necessa­riamente un male: le rendite di posizione e le barriere all'in­gresso di nuovi concorrenti so­no maggiori e consentono di programmare meglio il futuro. Si pensi a quanto sia facile per­dere il momentaneo vantaggio di un'idea tecnologica origina­le e invece all'impossibilità per un concorrente di ricreare la bellezza di Venezia, la qualità del Barolo o la vetrina del Salo­ne del Mobile.

Pensare di non investire in in­frastrutture per l'Italia è sempli­cemente suicida. I capitali non hanno bisogno di ferrovie ma, dato che invece di attirarli sia­m o sempre stati abili nello spa­ventare e far fuggire anche i ri­sparmi domestici, non ci resta altra scelta di costruire almeno tappeti rossi per attirare le per­sone ed efficienti trasporti per favorire importazioni di mate­riali ed esportazioni di prodot­ti. In quest'ottica la Tav riveste u n ruolo decisivo: sia dal punto di vista della situazione attuale ma anche e soprattutto se consi­deriamo le possibili opzionali­tà. Il discorso non è semplice da far digerire in Italia, dove il guardare lontano e la program­mazione a lungo termine non hanno mai avuto molta fortu­na. Ogni volta che ci si appresta a cantierare un'opera di largo respiro non mancano mai i pro­duttori di fiumi di inchiostro per dimostrare che si tratta di un lavoro costoso, inefficiente e che sono «ben altre» le priori­tà del Paese, finendo quindi con il comodo non fare nulla che non crea un singolo posto di lavoro in più. Anche per l'al­ta velocità questi conti si sono sprecati, intanto però il mondo va avanti e già ora si perdono soldi, non preventivati dai pro­fessionisti dell'interdizione.

Di certo non potevano essere previsti in un qualsiasi momen­t o dello scorso decennio (la To­rino Lione è in progetto e di­scussione sin dagli anni '90!). Le oscillazioni del petrolio, le diffi­coltà del traffico aereo o anche solo la meccanica della bilan­cia commerciale con la Francia che, ricordiamo, è risultata ne­gli ultimi anni costantemente favorevole all'Italia per ben 8 miliardi di euro. Quanto mag­giore avrebbe potuto essere questo saldo con la Tav? Quali sarebbero state le scelte di tra­sporto degli operatori economi­ci in presenza di un'infrastrut­tura efficiente e che quindi avrebbe portato con sè anche l a creazione d i adeguati poli in­termodali? Non ci sarebbe niente di più miope che limitare l'analisi al costo della Tav o alla perdita dei fondi Europei di cofinanzia­mento. Il vero difetto dei mo­delli costi/benefici è che, ba­sandosi su dati attuali, ignora­n o o sottostimano il valore dell' opzionalità. In molti storsero la bocca davanti a chi realizza­va reti di comunicazione in fi­bra ottica perché si disse che la capacità dati era eccessiva ri­spetto alle esigenze e che non ne valeva la pena: chi poteva pensare all'esplosione della co­municazione via internet? Ogni investimento d i lungo ter­mine comporta rischi finanzia­ri per il futuro: se domani si in­venterà il teletrasporto, la ferro­via potrebbe diventare inutile, pazienza, tuttavia non si può programmare il futuro econo­mico di un paese né con la fan­tascienza né con modelli basa­ti solo sul presente: ci sono casi dove la ragioneria deve lascia­re il posto alla strategia.

La possibilità è che si riesca a «catturare» u n volume di merci pari a 70 milioni di tonnellate, vale a dire il 40% del Pil euro­peo. Fantasie? Forse, ma non giocare è la maniera più sicura di perdere.

Se, ad esempio, in Campania in passato si fosse guardato un po' avanti per la ge­stione dei rifiuti costruendo qualche inceneritore in più, magari non immediatamente necessario, il saldo, a conti fat­ti, sarebbe stato positivo o nega­tivo per l'Italia nel suo comples­so? In quel caso si è preferito dare retta ai comitati no-tutto e scegliere la strada comoda di mettere lo sporco sotto il tappe­to ed aspettare. Il risultato si e' visto.

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