Così si premiano solo i violenti

Ci sono azioni che si possono magari comprendere ma non si possono giustificare. I danni causati da frustrazione sono una di queste azioni e comprendono cose banali come il fallo plateale del calciatore la cui squadra sta perdendo fino a situazioni gravissime quali l’infanticidio della madre depressa.
Il rapimento di dirigenti, da parte di operai di fabbriche a rischio chiusura, altro non è che un tipico reato da frustrazione e, come tale, si può forse comprendere ma deve essere in ogni caso duramente condannato. Questa forma di protesta estrema si è diffusa in Francia agli inizi di quest’anno ed è stata definita con un termine (boss-napping) che si può tradurre più o meno con «rapicapo» e ne sono stati vittime dirigenti di multinazionali come Michelin, Sony e 3M.
In alcuni casi i «rapimenti» sono durati più giorni. La cosa peggiore è che a volte questo tipo di azione ha portato dei risultati ed evidentemente il passaparola tra le aziende francesi ha convinto i lavoratori della Alstom a seguire una strada similare.
Pur comprendendo in pieno la frustrazione e la difficoltà del momento che un lavoratore «a rischio» è costretto a vivere, appare chiaro che dare corda a fenomeni di questo tipo non può portare a nulla di buono, sia perché si apre la strada ad atti ancora più estremi sia perché si rischia di premiare i violenti a danno di chi invece sta sopportando civilmente e in silenzio una situazione analoga.
Spesso in Italia si è data l’impressione che le manifestazioni violente portassero dei risultati (vedi i casi delle proteste per la creazione delle discariche) sottacendo il problema che così si riversavano i problemi sulle spalle di comunità più pacifiche e civili, creando quindi una profonda ingiustizia.
Queste azioni «non convenzionali» poi risultano amplificate ed incentivate dal risalto mediatico che esse riescono ad ottenere, a scapito dei tradizionali scioperi o presìdi di fabbrica. Non credo ci sia nulla di male nel cercare di dare la massima diffusione alle ragioni della propria protesta, certo, il grido di aiuto verso l’esterno è un’extrema ratio e sottointende la fine del dialogo con l’impresa e quindi il fallimento della normale relazione fra dipendenti e datore di lavoro.
Abbiamo ancora in mente le immagini dei lavoratori Innse sulla gru o quelle degli operai sulla ciminiera della «Metalli Preziosi» di Paderno Dugnano, segni indelebili di una nuova fase nella comunicazione della protesta, tuttavia il confine fra l’azione magari clamorosa ma fondamentalmente pacifica e il reato è sottile e tale confine deve essere attentamente sorvegliato.


I rischi sono profondi ed una radicalizzazione delle posizioni non è utile a nessuno, non per niente questi contrasti sono evidenti in Francia, dove convivono da un lato i fenomeni dei rapimenti o peggio (in agosto i lavoratori di una società di trasporti in difficoltà hanno minacciato di versare ottomila litri di prodotti tossici nella Senna) e dall’altro casi di eccessiva aggressività nei confronti dei dipendenti, fino ad arrivare allo spaventoso fenomeno dei 24 suicidi in un anno e mezzo fra i lavoratori di France Telecom.
Sedersi a parlare senza esagerare conviene a tutti.

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