Così lo Stato tiranno addormenta la cultura

L'indiretto monopolio dello Stato su corporazioni e associazioni letterarie mina la libertà degli intellettuali

Così lo Stato tiranno addormenta la cultura

Fortunati dunque i popoli moderni dotati d'una potenza politica, differenziata dal Denaro e dall'Opinione! Altrove non v'è forse altro problema che di ritrovarne un equivalente. Ma ciò non è molto facile in Francia, e si vede bene perché.

Prima che il nostro Stato si fosse mutato in collettivo e anonimo, senz'altri padroni che l'Opinione e il Denaro, entrambi, più o meno, mascherati con i colori dell'Intelligenza, esso era investito da poteri assai estesi sulla massa dei cittadini. Orbene, lo Stato nuovo non ha rinunciato a questi antichi poteri, al contrario. E poiché i padroni invisibili avevano interesse ad allargarli e rafforzarli, questi poteri sono stati, in effetti, estesi e raddoppiati. E maggiormente lo Stato s'accresceva a spese dei singoli, più il Denaro, padrone dello Stato, vedeva estendersi così il campo della propria influenza; questo grande meccanismo centrale gli serviva d'intermediario attraverso il quale governare, dirigere, modificare molteplici attività che per una certa qual loro autonomia o particolare esigenza potevano anche sfuggire al Denaro, ma non allo Stato. Facciamo un esempio: resosi padrone dello Stato, e lo Stato avendo posto le mani sul personale e sul materiale della religione, il Denaro poteva agire, attraverso mezzi di Stato, sulle coscienze dei ministri dei Culti e, quindi, sbarazzarsi di temibili censure. La religione è, in effetti, il primo fra i poteri che possa opporsi alle plutocrazie, e tanto più lo è una religione organizzata così saldamente come il Cattolicesimo: eretta in funzione di Stato, essa perde una grande parte della sua indipendenza e, se il Denaro è padrone anche dello Stato, essa vien meno alla sua schietta condanna del Denaro. Il potere materiale trionfa allora a dismisura sul suo principale antagonista spirituale.

Se lo Stato riesce a spuntarla nei confronti di una massa di parecchie centinaia di migliaia di preti, monaci, religiosi e altre schiere ecclesiastiche, che cosa diventeranno di fronte allo Stato le piccole fluttuanti congregazioni del pensiero, detto libero o autonomo? Il numero e l'importanza di queste ultime sono assai scemati del resto grazie all'Università, che è di Stato. Con i mezzi a disposizione di quest'ultimo, un'ostruzione immensa si crea nel campo scientifico, filosofico, letterario. La nostra Università intende accaparrare la letteratura, la filosofia, la scienza. Buoni o cattivi che siano, i suoi prodotti amministrativi soffocano quindi, di fatto, tutti gli altri, cattivi o buoni anch'essi. Ciò rappresenta un nuovo indiretto monopolio, a profitto dello Stato. Per mezzo delle sue sovvenzioni, lo Stato regge, o per lo meno controlla le varie nostre corporazioni e associazioni letterarie e artistiche; vincolandole cosi al suo padrone, il Denaro; e nella stessa maniera fa uso dei molti meccanismi attraverso i quali si pubblica, si distribuisce e si propaga ogni pensiero. In ultimo luogo, i suoi incarichi, i suoi riconoscimenti, le sue onorificenze gli consentono dispensare alla stessa stregua premi all'elogio e al silenzio, al servizio reso e al ricatto trattenuto. I partiti dell'opposizione, purché sinceri, rimangono i soli al di fuori di queste sistematiche e continue elargizioni. Sono però poco numerosi, o singolarmente moderati, rispettosi, accorti: sono avversari che hanno motivi di temere, causando al potere qualche pregiudizio troppo grave, di nuocere a se stessi. Lo Stato francese è uniforme e centralizzato: e poiché la sua burocrazia raggiunge ogni cattedra di scuola, anche dell'ultima frazione, si trova perfettamente premunito contro qualsiasi avversario che insorgesse non solo contro di lui ma contro la plutocrazia, di cui esso è l'espressione.

Lo Stato-Denaro amministra, remunera e onora l'Intelligenza; ma le mette la museruola e l'addormenta.

Può, se lo vuole, impedirle di conoscere una verità politica, ovvero di renderla manifesta, e quando la manifestasse, di farla ascoltare e intendere. In qual modo allora un paese riuscirebbe a conoscere le proprie esigenze, se chi le conosce può essere costretto al silenzio, alla menzogna o all'isolamento?

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