Così il truffatore gentiluomo mette in crisi l’alta finanza

Truffatore sul grande schermo e truffatore sul palcoscenico. Per una curiosa coincidenza del caso, in questo periodo Massimo Popolizio sembra destinato a fare breccia nel cuore del pubblico come interprete di simili personaggi. Arriverà presto nei nostri cinema, infatti, Un destino ridicolo, film di Daniele Costantini su Fabrizio De André dove il bravo attore si cala «nei panni - racconta - di un truffatore da mala genovese un po’ all’antica, sempre rigorosamente in abito gessato». Figura che ricorda per assonanza quel vitale Barone di Laborde protagonista della commedia Inventato di sana pianta dell’austriaco Hermann Broch, di cui Luca Ronconi presenta al Valle il primo allestimento italiano (repliche fino al 24 febbraio). «Laborde - spiega Popolizio - è uno che fa truffe con spirito sportivo, come dice lui stesso; non imbroglia per capitalizzare ma perché vuole divertirsi. Rimane cioè un animo leggero, spiritoso, anche se imbroglia i grandi della finanza». Parrebbe un ritratto di oggi. E invece questo testo, cinico e profondo sebbene incorniciato in frivolezze da vaudeville, ha una bella età. Broch lo scrisse - profeticamente - nel ’34 (ma andò in scena la prima volta solo nell’81 per motivi di censura), quando ancora in Europa erano aperte le ferite lasciate dalla Grande Depressione del ’29. Siamo a Vienna e lo sguardo impietoso dello scrittore si sofferma sul vuoto di valori che corrode la società austriaca coeva. In tedesco, il titolo originale della commedia («perché di questo si tratta, anche se non certo di una pochade alla Feydeau o di una patinata pièce in stile telefoni bianchi») suona aggrappato nell'aria. «Un’espressione emblematica - riprende l’attore - che ci aiuta a capire come qui Broch voglia raccontare un mondo di vacuità nel quale non si riesce ad avere sentimenti proprio come non si riesce ad accumulare denaro». Su questa equazione si regge, non a caso, l’ambigua geometria di relazioni umane che coinvolge, oltre a Laborde, altre quattro figure principali: un finanziere sull’orlo della bancarotta (Massimo De Francovich), un direttore di banca (Giovanni Crippa), l’algida Stasi, avventuriera di alto bordo (Anna Bonaiuto) e la fragile Agnes, ricca ragazza in difficoltà finanziarie (Pia Lanciotti). Lo spettacolo si apre con quattro suicidi mancati. «Tutti tentano di morire, tranne il barone truffatore. Ed è proprio lui a dare fiducia agli altri; li contagia, li tiene in vita». Il tutto galleggiando però in un nulla inquietante dove anche l’amore, l’eros, si riduce a puro desiderio, a qualcosa che non c’è. «D’altronde lo stesso Broch si innamorava sempre di donne altere e irraggiungibili ma riusciva ad avere rapporti solo con cameriere». Il registro sentimentale della vicenda va dunque di pari passo con quello, attualissimo, dell’economia e degli affari. «Ragione per cui il pericolo di inciampare nel vaudeville si insinua minaccioso, anche nella recitazione. Ma la regia di Ronconi (di cui venerdì debutta all’Argentina Fahrenheit 451, ndr) ci preserva del tutto dal pericolo». Complice la raffinata scenografia di Marco Rossi (Premio Ubu 2007): «un albergo di lusso completamente bianco e sviluppato su due piani che sembra un ospedale».
Un sanatorio dall’atmosfera metafisica (con qualcosa della visionarietà di Kubrick e di Lubitsch), atto ad ospitare quella che «in definitiva potremmo definire una vera e propria commedia filosofica».

Dopo le repliche a Roma, lo spettacolo proseguirà la sua lunga tournée italiana. E poi? «Cambierò decisamente registro. Sarò il protagonista dell’Edipo a Colono che Luis Pasqual allestirà al teatro Olimpico di Vicenza in settembre».

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