Gian Piero Scevola
Il telefono ti salva la vita, diceva un vecchio spot televisivo. Nel caso del Genoa il telefono t’inguaia al punto che la tanto sofferta promozione in A potrebbe trasformarsi addirittura in una rovinosa caduta in C1 (il primo verdetto arriverà dal processo alla Disciplinare entro il 10 luglio). Perché, per l’ennesima volta, è ancora il marchingegno inventato da Antonio Meucci a creare problemi ai rossoblù genovesi.
Partiamo allora dalla brutta notizia. Le intercettazioni effettuate dalla Procura hanno rilevato una telefonata fatta sabato 4 giugno, vigilia di Piacenza-Genoa, partita dagli uffici dei Giochi Preziosi di Cogliate: destinatario un tesserato del club emiliano già sentito dagli inquirenti (i giocatori De Vitis, Gautieri, Lucenti, Masiello, Abbate, Di Vicino e l’allenatore Iachini), ma che poi non sarebbe sceso in campo (in tribuna quella sera andarono i primi tre).
A chi rispose al telefono sembra siano stati offerti 200.000 euro come premio a perdere da dividere con i compagni. È l’ennesima voce uscita dalla Procura e già ripresa da un quotidiano di Piacenza. Altra soffiata è quella sulla telefonata fatta tra il primo e il secondo tempo di Genoa-Venezia: il cellulare era sicuramente quello di Enrico Preziosi, ma non era il presidente al telefono, mentre dall’altra parte c’era Pino Pagliara che però afferma di aver dimenticato i suoi due cellulari in panchina. Un giallo nel giallo che però scagiona Preziosi senior (da ricordare che il figlio Matteo che lavora col papà in azienda e segue il Genoa ovunque, è tra gli indagati). Voci a ripetizione che hanno mandato su tutte le furie il difensore del Genoa, l’avvocato Alfredo Biondi: «Quello che ai difensori è negato ed agli indagati neppure sommariamente esposto, nella sede propria, trova larga e virgolettata ospitalità su quasi tutti i giornali italiani. Da un certo punto di vista la difesa viene finalmente a conoscere quali sarebbero gli elementi d’accusa. Chi dovrebbe custodire il segreto d’ufficio e quello investigativo, non fa il proprio dovere. Stabiliremo le varie iniziative da assumere per trovare un giudice a Genova o Torino che si occupi del “segreto di Pulcinella” diffuso urbi et orbi e opporremo in ogni sede questa veglianza che si risolve in una pubblica diffamazione per il Genoa».
Voci che intristiscono anche Serse Cosmi, il tecnico della promozione costretto da Preziosi a dimettersi. «Provo dispiacere e amarezza per quello che sta succedendo», le parole di Cosmi dopo la sua presentazione a Udine. «Uno parte, lavora, soffre, gioisce e poi... tutto finisce davanti a un giudice dove non si parla di calcio, ma di altre cose che con questo sport non hanno nulla a vedere. Insomma, tutto viene distrutto in Procura. Sono stato sentito dagli inquirenti e come uomo provo amarezza, anche perché sono cose che ti fanno riflettere».
Già, ma come ha fatto uno esperto come Cosmi a non accorgersi di niente? «Questi inghippi non fanno parte del mio dna. Io penso solo a lavorare, a preparare la squadra e a cercare di vincere più partite possibili. Altro non m’interessa. E neppure a Piacenza, dopo la rissa finale, ho avuto sentore che ci fosse qualcosa di irregolare. Eravamo a fine campionato, la tensione era anche logica, ma non ho mai pensato che quella o altre partite potessero essere truccate o concordate». Certo che con presidenti come Gaucci, Preziosi e Pozzo, a Cosmi piace la vita spericolata.
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