Cota, il maratoneta più bossiano di Bossi che sogna Cavour

Quando restò folgorato sulla via del «Piemont liber» aveva solo 22 anni e la Lega Nord a Novara si riuniva nel sottoscala di un bar, totale iscritti cinque. Correva l’anno 1990, Roberto Cota studiava legge a Milano, la politica non era mai stata nelle sue corde ma si convertì su due piedi dopo aver letto un’intervista a Umberto Bossi su Panorama. Vent’anni dopo, «il volto umano del Carroccio», come lo definiscono gli amici, è ancora «il ragazzo di Novara», o «il giovane di Galliate», la frazione in cui è nato nell’anno del Signore e delle rivolte studentesche 1968. Però ha fatto tutto: segretario cittadino e poi provinciale, consigliere comunale e poi assessore alla Cultura, segretario «nazionale» del Piemonte e poi presidente del consiglio regionale, sottosegretario alle Attività produttive dei governi Berlusconi II e III e poi deputato. Infine, oggi, capogruppo della Lega alla Camera e candidato al governo della sua Regione, forte di una Lega che qui ormai viaggia su percentuali a due cifre.
È uno che ama gareggiare sulla lunga distanza, Cota. Compostezza e pacatezza piemontese, preferisce guadagnarsi le tappe invece di bruciarle, e non a caso nel tempo libero corre. Ma le maratone, non in velocità. Al liceo classico Carlo Alberto era uno studente medio: mai voti altissimi, ma mai rimandato. In un mondo di calciatori, lui ama il basket (è presidente onorario della Legadue di pallacanestro) quasi quanto ha amato la sua moto Cagiva Alette Electra. Alla Statale di Milano aveva la media del 29, si è laureato con una tesi su «Successioni di norme extrapenali». «Fai quello che vuoi, ma prima ti devi laureare», gli disse il padre Michele, lui pure avvocato, quando prese la tessera del Carroccio. Roberto obbedì. Fu allora che conobbe sua moglie. Fu un fulmine, un po’ come col Senatùr. Perché la vita gli capita così, lui si impegna il giusto, il resto arriva e l’ansia non gli appartiene: anche adesso che è sempre nei talk show, i vecchi amici novaresi annotano che «è rimasto un bravo ragazzo, magari quando torna dalle feste della Lega è gasato e si altera se lo contraddici, ma poi torna quello tranquillo di sempre».
Rosanna Calzolari, che oggi fa il magistrato al Tribunale dei minori di Milano, era una giovane e bionda assistente universitaria. Lui scriveva la tesi in fretta, fra una riunione del Carroccio e un banchetto in piazza. Lei lo rimproverò: «Se vai avanti così non ti ammettiamo in questa sessione di laurea». Lui le mandò una pianta: «All’assistente più simpatica». Seguirono diconsi nove anni di fidanzamento e mai una crisi vera, sarà che le liti, anche adesso che il clima in casa a volte si surriscalda se si parla di giustizia, le risolvono davanti a una bistecca, possibilmente impanata, in una trattoria alla periferia di Novara. Nove anni poi il matrimonio e, l’8 giugno del 2008, la figlia Elisabetta, che s’è guadagnata il posto d’onore sulla scrivania del papà a Montecitorio: la sua foto sta fra quelle dell’Umberto e il busto in bronzo dell’Alberto (da Giussano). Alle spalle il crocefisso, certo, del resto pure sopra al letto matrimoniale nell’antica casa di Novara in cui vive con la famiglia c’è una Madonna ottocentesca. Perché Cota è cattolico praticante. Tutte le domeniche va a messa con la moglie e nella crociata del Carroccio contro la Corte di Strasburgo in difesa del crocefisso negli uffici pubblici si è distinto allestendo in due giorni qualcosa come 170 banchetti di raccolta firme in tutto il Piemonte, all’urlo di: «Il crocifisso è il simbolo della nostra identità, delle nostre radici che vanno difese. Non possiamo permettere a due burocrati che stanno in Europa di sradicarle».
Più bossiano di Bossi, dicono di lui, ma a Cota nel Carroccio tocca il ruolo di faccia pulita, e gli si addice. Adesso corre per strappare il Piemonte a Mercedes Bresso e al Pd, e anche lì non ha brigato per fare l’aspirante alla poltrona, semplicemente Bossi ha chiamato «e se il capo chiama tu devi rispondere», dice. Lo incontrò per la prima volta a bordo di una Citroën rossa, l’Umberto, e riuscì a spiccicare solo poche parole. Poi però divenne un punto di riferimento per il Senatùr, lo chiamava di notte e gli diceva cosa doveva fare, «dormivo con un blocco per gli appunti accanto al letto» ha confessato a Claudio Sabelli Fioretti.

Allo stesso intervistatore che gli domandava come farà lui, da sempre critico con il Risorgimento, a conquistare la Regione più risorgimentale d’Italia, Cota ha risposto così: «Diciamoci la verità: Cavour non voleva l’unità d’Italia. E i piemontesi sanno bene che prima il Piemonte era uno Stato a sé». Magari li convincerà, la maratona è appena incominciata.

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