Nelle fotografie d'epoca, Gino Coppedè non riesce a nascondere il proprio spirito bizzarro e spesso votato allo sberleffo. Non lo riesce a nascondere neppure dietro l'imponente barbone positivistico - massonico, che, se gli occulta la parte inferiore del volto, non riesce comunque a far passare inosservata quella superiore. In cui brillano due occhi, che gli scrittori dannunziani del tempo avrebbero senza esitazione definito da satiro.
E che uno spirito un poco satiresco gli scorresse per le vene Coppedè lo conferma subito dopo, in una celebre foto scattatagli a palazzo Mackenzie, mentre il celebre architetto si regge in equilibrio instabile su un leone di pietra. Tanto instabile l'equilibrio e tanto poco di pietra il leone che Coppedè è costretto, per non precipitare nel vuoto, a reggersi con una mano ad un provvidenziale anello, che lo stile Liberty della costruzione gli mette a portata di mano.
Certo, Liberty, visto e considerato che Gino Coppedè è il riconosciuto genio Liberty di questo scorcio di Novecento, talmente saturo di cultura ed esperienze del passato che, a somiglianza dell'attuale stile postmoderno, finisce per scopiazzare qua là. Accumulando citazioni su citazioni, che vanno dal neorinascimentale al neogotico, con qualche puntata su assiro - babilonese e corinzio.
In questo caos di forme e di contorni, sempre atterrito - come scrive bene Mario Bottaro - dall'horror vacui, vale a dire dallo spavento di trovarsi in presenza della parete nuda e cruda e non poterla in qualche modo decorare ed adornare, per nasconderne la naturale tendenza ad essere semplicemente casa e abitazione e non di necessità tempio o palazzo regale, Gino Coppedè, fiorentino e discendente di una antica famiglia di decoratori, ma approdato a Genova ed a Genova esaltato come genio indiscusso della nuova architettura, si trova a proprio perfetto agio.
Anche perché il suo incontro con la città della lanterna coincide con il grande slancio innovativo ed espansionistico di una borghesia risorgimentale che ha accettato di riconoscere come propri legittimi sovrani i Savoia, in cambio di un benevolo placet ad arricchirsi ed a arricchire Genova stessa di monumenti autocelebrativi. Come possono esserlo ville, palazzi, signorili dimore.
Il fatto è che Genova, verso la fine dell'Ottocento, esce dalle antiche mura repubblicane, per aggredire l'asperità dei promontori che le coronano le spalle. Circonvallazione a monte, via Assarotti, il ripensamento e la nuova sistemazione di via Giulia (l'attuale via XX Settembre) forniscono ai costruttori impensate opportunità di urbanizzazione ed arricchimento. E Coppedè, giunto da Firenze come un perfetto sconosciuto, in breve tempo assurge alla dimensione di architetto sommo ed indiscusso. A cui si possono magari perdonare sbavature e trovate bizzarre in cambio di una originalità che spesso sconfina nel genio.
A proposito di trovate bizzarre, una davvero singolare la rintracciamo nelle cariatidi e telamoni di pietra che adornano la facciata di Palazzo Pastorino all'Acquassola. Molti dei quali - intendiamo cariatidi e telamoni - fanno tanto di lingua al palazzo di fronte. La causa di tanto feroci beffe sembra doversi andare a rintracciare in una antica vicenda matrimoniale finita pessimamente per il proprietario del palazzo. Intendo quel Carlo Pastorino, plurimiliardario del tempo, che, avendo rivolto formale domanda di matrimonio alla donna del suo cuore, sarebbe stato dal padre di quest'ultima respinto in maniera tutt'altro che urbana. Provocando così la reazione che Coppedè, da quel mattacchione che era, si affrettò subito a trasformare in una satira di pietra.
Sembra un racconto di Hoffmann o di qualche altro fantasioso scrittore romantico ed invece è realtà. Una realtà a porta di mano ma soprattutto di occhi, per chi ha occhi per osservare e non si accontenta della superficialità di un primo sguardo distratto. Del resto, Palazzo Pastorino merita molto di più, sia per la sua collocazione nel tessuto urbano, sia per le indubbie doti architettoniche che rivela ad una più accurata indagine.
Nato come un fungo dal rifacimento di via Giulia e come un fungo occhieggiante di mezzo alle due chiese gemelle - Santo Stefano e Nostra Signora della Guardia - l'opera di Coppedè continua a sbalordirci al modo di una sorta di magica apparizione. Quasi si trattasse non di un monumento di solida pietra ma di evanescente vapore, evocato da qualche compiacente fata madrina della bella addormentata di turno.
E in realtà una struttura falso - rinascimentale in bugnato, con tanto di metope e doccioni, con uno stile che ricorda ora il miglior Bernini ora il suo peggiore imitatore è davvero una quinta pregevoli sul palcoscenico di una città non poco teatrale come la nostra Genova.
A Mario Bottaro, autore dei testi che insieme con una splendida iconografia d'epoca nobilitano il volume, va il merito di una attenta disamina storico - artistica di testo e contesto.
Mario Bottaro, Palazzo Pastorino e Gino Coppedè a Genova, red@zione, Genova 2006, pag. 93, euro 14,00.
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