Crisi in Georgia: il Cremlino accusa l’America

Mosca non revoca l’embargo ma lo inasprirà

da Mosca

Ci sono gli Stati Uniti dietro la pesante crisi diplomatica in atto fra Russia e Georgia: il ministro degli Esteri Sergei Lavrov accantona l’abusata perifrasi dei «Paesi terzi» e punta decisamente il dito contro Washington per illustrare le ragioni della rottura con la piccola repubblica ex sorella. E all’Unione europea, che attraverso la commissaria Benita Ferrero-Waldner chiede di accantonare «sanzioni che non portano da nessuna parte», Lavrov replica che «per il momento» non se ne parla. Per il capo della diplomazia moscovita, il blocco dei servizi postali, ferroviari e aerei verso Tbilisi «è inteso a fermare flussi illegali di valuta».
Quali siano le esatte responsabilità americane, Lavrov non lo dice: ma sottolinea che il detonatore della «guerra fredda» fra le due repubbliche ex sovietiche, l’arresto mercoledì scorso a Tbilisi di quattro ufficiali russi accusati di spionaggio (comunque consegnati all’Osce e rimpatriati), «testimonia di un certo ruolo degli Usa nell’acutizzarsi della tensione». La vicenda è esplosa «subito dopo la decisione della Nato di instaurare con la Georgia una intensa collaborazione e subito dopo una visita del presidente Mikhail Saakashvili a Washington». La Russia «prende atto delle assicurazioni dei colleghi americani sul fatto che trattengano la leadership georgiana da azioni brusche, ma la dinamica - denuncia Lavrov - resta questa: la visita negli Usa, il pronunciamento Nato, la presa di ostaggi a Tbilisi».
Il Cremlino sembra deciso a una resa dei conti con Saakashvili, odiato protagonista nel novembre del 2003 della filo-occidentale «rivoluzione delle rose» e tacciato dalla stampa moscovita di fantoccio dell’amministrazione americana. Al blocco postale e dei trasporti potrebbe aggiungere, nonostante le difficoltà tecniche create dal regime di libero mercato, un congelamento delle transazioni monetarie, del quale i deputati della Duma discuteranno oggi. E intanto raddoppiano i controlli sulle sanzioni già da tempo in atto, quelli contro i prodotti alimentari, l’acqua minerale e i vini georgiani. Ieri mezzo milione di bottiglie di vino prodotto in Georgia sono state sequestrate dalla polizia di Mosca con la scusa che si tratta di merci «pericolose per la salute umana».
È caccia agli immigrati, clandestini e non - la diaspora georgiana ha seminato in Russia un milione di persone, che con i loro risparmi inviati a casa contribuiscono largamente al magro bilancio statale - e sono iniziati i primi rimpatri forzati: fra questi, a testimonianza del fatto che la guerra di nervi tocca anche i singoli, c’è una guardia dell’ambasciata di Tbilisi a Mosca che ha reagito violentemente all’ennesima manifestazione di protesta dei nazionalisti russi.


A Tbilisi, c’è malumore fra i cittadini: contro i russi certo, colpevoli di reazioni esagerate che danneggiano più la gente che non la leadership; ma anche contro Saakashvili, che per le sue battaglie personali mette nei guai tutta la popolazione. Ma la protesta, per quanto crescente, non sembra al momento avere grande successo.

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