Il volume curato da Francesco Benigno e Luca Scuccimarra (Simboli della politica, Viella, pagg. 264, euro 28) costituisce un’affascinante panoramica delle rappresentazioni iconografiche che hanno accompagnato e guidato i processi di aggregazione e di contrapposizione politica della società occidentale dal Medio Evo fino ai nostri giorni.
Alcune come il Fascio littorio, la Falce e il Martello, la Croce di Lorena (segno di identificazione della resistenza gaullista durante la Seconda Guerra mondiale) hanno contrassegnato profondamente il nostro Novecento. Altre come il Biscione lombardo o i Quattro mori sardi costituirono per secoli l’espressione di una specifica identità regionale, mentre la Donna turrita è stata l’icona di un organismo nazionale, l’Italia, sempre difficile da rappresentare nei suoi tratti identitari. Altre ancora, come il Berretto della libertà, divennero l’effigie della resistenza alla tirannia e della rivendicazione dei diritti popolari: dalla rivolta di Masaniello, al movimento di opposizione dei radicali britannici durante il XVIII secolo, alla Rivoluzione francese. Tutte, ad ogni modo, sono state, oggetto di amore e odio.
Terminato il periodo delle grandi contrapposizioni ideologiche novecentesche, molti di questi simboli hanno perso la loro tradizionale capacità di attrazione. Uno soltanto, invece, è tornato prepotentemente sulla ribalta politica e ha conosciuto una nuova, impetuosa vitalità. È il caso del Guerriero di Pontida: l’immagine del mitico Alberto da Giussano che, il 29 maggio 1176, guidò la lotta dei Comuni lombardi contro Federico Barbarossa nella battaglia di Legnano. Questa rappresentazione, di cui ci parla diffusamente il saggio di Andrea Spiriti, è divenuta, da simbolo risorgimentale dell’unità nazionale contro lo straniero, il segno di riconoscimento dell’autonomismo locale dalla Lega Nord.
L’iconografia leghista è l’espressione di un processo di mitizzazione, profondamente diverso da quello compiuto dagli altri partiti che, nel 1994, diedero vita al Polo della Libertà e del Buon Governo. Il bagaglio ideologico di Forza Italia si fondava sull’adozione di elementi neo-liberali e neo-democristiani provenienti dall’esperienza del «grande centro» degasperiano, amalgamati da un generico e rassicurante simbolismo cromatico (gli «azzurri»). Quello di Alleanza nazionale, attento alla presa di distanza dalle sue radici fasciste (frettolosamente e malamente rinnegate), risultava privo di una valida rappresentazione visiva a causa della rimozione del precedente e fin troppo articolato bagaglio iconografico «repubblichino» del Movimento sociale. Al contrario, il movimento leghista spiccava, già dai suoi esordi, per ricchezza di rimandi figurativi provenienti dal filone della mitologia celtica e pre-romana: il culto di Eridano (antico nome del fiume Po), il pellegrinaggio alle sue sorgenti, l’ampolla versata alla sua foce.
Su tutti questi simboli ha prevalso, comunque, l’immagine di Alberto da Giussano. Il Guerriero di Pontida incarna, da un lato, il capo sanguigno, popolare, che conosce la sua gente e ne impersona al meglio caratteristiche e virtù. Dall’altro, questo simbolo evoca la guida ascetica, superiore ai limiti comuni, per il suo disinteresse dei beni materiali, per la sua capacità di patire fino all’estremo sacrificio per la vittoria della causa.
L’immagine del cavaliere lombardo consente questa duplicità di lettura. Vincitore, e dunque uomo d’azione, egli è anche immobile nel gesto del trionfo e quindi, in qualche misura, è separato dalla contingenza temporale, tanto assumere le fattezze di un profeta. Questa stessa staticità si combina, però, con un altro tratto distintivo dell’immaginario leghista, quello della virilità. Al di là della voluta grossolanità del vocabolario della Lega - frutto di una precisa strategia di contrapposizione linguistica al «politichese» del Palazzo romano - nel suo patrimonio culturale ritroviamo un frequente rimando alla mascolinità, in un nesso quasi obbligato con la potenza bellica, che si evidenzia nella spada sguainata del Guerriero di Pontida. Sotto questo aspetto, la logica simbolica leghista è tuttavia profondamente diversa da quella presente nella tavola dei valori del fascismo. In quest’ultimo caso, l’energia sessuale del capo (Mussolini) era una componente del mito del «superuomo fascista».
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