Roma - Quanto vale un barile di petrolio, 83 dollari oppure 59 euro?
È una domanda che da qualche tempo si pongono i grandi Paesi esportatori di energia e di materie prime, dalla Russia agli Stati del Golfo. La progressiva svalutazione della moneta americana nei confronti delle altre divise, dall’euro alla sterlina britannica e al dollaro canadese solo per citare le più importanti, innervosisce i Paesi ricchi di risorse naturali. Secondo alcuni analisti, gli esportatori potrebbero abbandonare gradualmente la divisa americana come base per i prezzi delle loro materie prime, per proteggere i loro guadagni. Il mito del biglietto verde incomincia davvero a vacillare?
«Vedo Paesi come la Russia che cercano di valutare le materie prime in altre monete, persino in rubli - sostiene David Murrin, responsabile investimenti della londinese Emergent Asset Management - : tenete gli occhi aperti per capire quando e come lo spostamento arriverà». L’abbandono del dollaro è già incominciato in Iran: dall’inizio di ottobre, circa l’85% delle esportazioni petrolifere di Teheran sono state vendute non più in dollari, ma in altre monete. E molti altri Paesi produttori di materie prime discutono di come diversificare le loro riserve valutarie in divise diverse da quella americana. «Il dollaro basso - spiega ancora Murrin in un’intervista alla Reuters - crea l’illusione che i prezzi delle azioni negli Stati Uniti siano elevati», attraendo investimenti. Questo vale anche per il barile di petrolio o per il metro cubo di gas. E ci riporta alla domanda iniziale: l’esportatore russo o arabo di greggio incassa 83 dollari o 59 euro? I suoi mega-guadagni sono in parte veri e in parte illusori?
Secondo la grande maggioranza degli analisti, le tendenze appaiono delineate: il mercato delle materie prime - alimentari compresi, ad esempio il caffè che ha toccato il massimo degli ultimi dieci anni a 2.150 dollari per tonnellata - continuerà per i prossimi anni a essere bullish. Mentre per il dollaro, si prevede debolezza non solo a breve, ma anche a medio termine. «La previsione è di fondamentali economici Usa in ulteriore peggioramento - affermano alla Putnam Investment di Boston - e questo porterà la Federal Reserve a una politica monetaria accomodante, mentre il resto del mondo sta attuando una stretta: il differenziale dei tassi lavora contro il dollaro». La prossima riunione del Federal Open Market Committee della banca centrale americana sui tassi d’interesse è fissata per il prossimo 31 ottobre.
La perdurante debolezza del biglietto verde potrebbe avere conseguenze anche nella composizione delle riserve valutarie dei principali Paesi. Per il momento, nonostante gli annunci da parte di alcune autorità, i movimenti effettivi pare siano stati molto modesti.
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